Notizie e aggiornamenti dal mondo della Mediazione

Mediatore: una nuova professione? Le relazioni tra i professionisti

Relazioni tra professionisti. Negli articoli dei giorni scorsi abbiamo trattato l’argomento della nuova professione del mediatore analizzando la presenza dell’avvocato ed altre variabili. A ciò possiamo aggiungere che ugualmente, può darsi che in mancanza di competenza in merito sia lo stesso legale a scegliere di rivolgersi allo specialista in accompagnamento delle parti. Si apre così lo spazio per nuove e più flessibili configurazioni del rapporto tra queste due professioni. Cerchiamo di capirci di più.

Relazioni tra professionisti: le dinamiche di interazione reciproca

In questa prospettiva diventerà un terreno di particolare interesse, per la riflessione sulla professionalizzazione della mediazione, l’analisi delle dinamiche di interazione reciproca che verranno configurandosi tra i diversi attori dentro e fuori la procedura mediativa. In particolare si tratta di far risaltare, accanto ad aspetti più tipici della riflessione sulle professioni che già precedentemente abbiamo trattato (i metodi di remunerazione, il reclutamento e l’addestramento, i tipi di carriera, i conflitti di ruolo, le relazioni interpersonali sul lavoro, l’immagine pubblica delle professioni, e la distribuzione del potere e del prestigio nel loro ambito), l’eventuale sperimentazione di forme di associazione e cooperazione nelle quali mediatori e avvocati si possono ancorare reciprocamente attraverso relazioni di scambio e cooperazione; quale ruolo verranno a attori e ruoli di intermediazione e coordinamento, quale peso avrà il fattore istituzionalizzazione.

L’avvocato mediatore e l’avvocato accompagnatore

Ciò è davvero importante per rendersi conto dei processi di trasformazione in atto. Quindi dai concetti innovativi appena trattati sembrano, inoltre, emergere due nuove figure di avvocato – l’avvocato mediatore e l’avvocato accompagnatore – che andranno ad accentuare, almeno in via potenziale il carattere segmentato che va sempre più assumendo la professione forense e probabilmente questa potrebbe essere la via per ottenere una definitiva quanto certa “professionalizzazione” della figura del mediatore.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Spese di avvio in mediazione: non è possibile fissarle sotto i 40 euro

È possibile fissare le spese di avvio dei procedimenti di mediazione a 30 euro più Iva anziché a 40 euro, così come previsto dal DM 180/2010? La risposta è no. Il quesito, che è stato posto nei giorni scorsi da un organismo di mediazione, ha avuto dunque risposta nettamente negativa dalle istituzioni. La domanda era stata infatti posta al Ministero della Giustizia (Dipartimento Affari di Giustizia), e prendeva in causa la previsione contenuta nell’art. 16 comma primo, del su citato Decreto Ministeriale 180 del 2010, secondo cui l’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.

Spese di avvio: derogabilità verso il basso solo per le spese di mediazione

La risposta al quesito (datata 28 novembre scorso), ad un certo punto, spiega il perché della negazione e riporta testualmente tali parole: “Quando l’art. 16, comma 14, del DM 180/2010, consente la derogabilità verso il basso degli importi minimi delle indennità, sembra riferirsi unicamente alle spese di mediazione, non anche alle spese di avvio che, dunque, non solo non possono essere ridotte, ma neanche eliminate del tutto”.

La cifra di 40 euro costituisce l’importo minimo

Proprio per questo motivo, sempre tenendo conto di quanto stabilito dall’art. 16, comma 2 del DM 180/2010, viene confermato il fatto che per le spese di avvio ciascuna parte deve, per lo svolgimento del primo incontro, la cifra di 40 euro per le liti di valore fino a 250 mila euro. La cifra sale ad 80 euro per le liti che superano i 250 mila euro. Viene anche chiarito, infine, che tale importo è dovuto anche in caso di mancato accordo. Il ministero di Via Arenula chiarisce così, una volta per tutte, i dubbi sulle spese di avvio.

 

A cura dell’addetto stampa Concilia Lex S.p.A., dott.ssa Jenny Giordano.

Il comportamento delle parti: il suo ruolo in mediazione

Il comportamento delle parti. Qual è il suo ruolo all’interno di una mediazione? Dal testo dell’art. 8 d. lgs. n. 28/2010 si evince che il comportamento della parte nel corso del procedimento di mediazione è elemento centrale. La disciplina della condizione di procedibilità é completata dall’art. 5, comma 2 bis, il quale chiarisce che «la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo».

Comportamento delle parti e assenza di volontà conciliativa

Pertanto, per ritenersi il tentativo espletato sarà sufficiente anche un primo ed unico incontro dal quale emerga chiaramente l’assenza di volontà conciliativa. Bisognerà comunque capire se un primo incontro dovrà sempre tenersi ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità ovvero se quest’ultima possa dirsi soddisfatta, a prescindere dallo svolgimento del primo incontro, nelle ipotesi di mancata adesione della parte chiamata.

Tale valutazione non potrà certo ricadere sul mediatore, il quale al più potrà ricordare gli orientamenti giurisprudenziali in materia di primo incontro. Del resto ci sembra che le conseguenze negative dell’assenza della parte chiamata in mediazione siano state dal legislatore riversate nel successivo ed eventuale giudizio, mediante le disposizioni dell’art. 8 d. lgs. cit., che disegnano una delle più pregnanti forme di “interferenza” tra mediazione e successivo processo, prevedendo il fatidico argomento di prova ex art. 116 c.p.c. oltre all’eventuale sanzione di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Il comportamento delle parti: quale integra la mancata partecipazione

Quindi qual è il comportamento che integra la mancata partecipazione? Posto che sicuramente non partecipa la parte che non aderisce – rectius, che resta totalmente inerte – integra la mancata partecipazione anche il comportamento della parte che abbia aderito ma non si sia poi effettivamente presentata al primo incontro? Ovvero, ove fissati ulteriori incontri, la parte, per evitare le conseguenze sfavorevoli viste, sarà tenuta a presentarsi a tutti? E, infine, la partecipazione rimanda alla necessaria presenza della parte in senso sostanziale o è sufficiente la presenza del legale (soprattutto, anche se non esclusivamente, nelle ipotesi di mediazione obbligatoria)?

Un’interpretazione “garantista”, che tenga conto delle possibili ricadute nel corso del giudizio della previsione di cui al comma 5, dovrebbe portare a ritenere che l’atto di adesione iniziale della parte sia sufficiente a far sì che la successiva assenza della parte agli incontri non integri il comportamento di non partecipazione. In realtà, pare che la partecipazione, quantomeno nell’idea del legislatore, porti con sé un dovere di collaborazione che è possibile soddisfare solo essendo presenti agli incontri fissati dal mediatore o, quantomeno, al primo incontro che assume un significato cruciale.

A cura del responsabile scientifico Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Conflitto e cultura: la punta dell’iceberg

La cultura è parte integrante di ogni conflitto dal momento che i conflitti riguardano le relazioni umane. Essa influenza il modo in cui noi intendiamo, elaboriamo, critichiamo, e cerchiamo di ridurre i conflitti. Che un conflitto esista è una questione culturale. Etichettare alcune delle nostre interazioni come conflitti ed analizzarle in piccole componenti è un tipico approccio occidentale che può farci trascurare altri aspetti della relazione.

La cultura è sempre un fattore di conflitto, sia che giochi un ruolo centrale sia che lo influenzi sottilmente o leggermente. In ogni conflitto che riguarda la nostra identità permane una componente culturale. I conflitti fra adolescenti e genitori, ad esempio, sono regolati dalla cultura generazionale, e i conflitti fra coniugi o partner sono influenzati dalla cultura di genere. Nelle organizzazioni, i conflitti spesso nascono da tensioni che si sviluppano a partire da differenti culture comportamentali fra collaboratori, che creano una comunicazione stentata o poco accurata e relazioni molto tese. La cultura permea il conflitto– talvolta con irruenza, talvolta in maniera sottile, ma è sempre un elemento presente e prima o poi le persone ci si devono scontrare.

La cultura è connessa al conflitto, anche se non ne è la causa. Quando le differenze vengono fuori in famiglia, nelle organizzazioni, nelle comunità, la cultura è sempre presente, formando le percezioni, gli atteggiamenti, i comportamenti, e i risultati. Quando i gruppi culturali a cui apparteniamo sono la maggioranza nella nostra comunità o nazione, ci rendiamo conto di meno dei messaggi che ci inviano. La cultura che appartiene al gruppo dominante spesso sembra “naturale o normale”. Solitamente notiamo solo gli effetti delle culture “diverse”, quando etichettiamo comportamenti che ci sembrano “esotici” o “strani”.

In sintesi, possiamo affermare che la cultura è come un iceberg – per la maggior parte sommerso – ed è importante tenerne presente nelle analisi e nelle azioni. Gli iceberg possono essere pericolosi, soprattutto se non ne conosciamo la grandezza e il luogo.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Governance e mediazione: quanto sono intrecciate tra loro

Governance e mediazione. Autorevoli studi hanno analizzato il senso della governance della mediazione, che significa cercare di capire come la definizione di governance si declina in questo contesto. Oggi con il termine governance si indicano precise e specifiche dinamiche istituzionali che contribuiscono a forgiare le regole giuridiche e le modalità della loro assunzione, ma in senso più generico per indicare il modo in cui di fatto funziona una certa istituzione e quindi l’insieme delle regole e dei soggetti che contribuiscono a governarli e quindi a regolarli.

Governance e mediazione: le differenze tra presenza e assenza di quest’ultima

Se la legge è il mezzo privilegiato della democrazia, la governance fa ricorso ad altri strumenti giuridici quali, ad esempio, il contratto. In questo senso, la governance opera una destrutturazione delle categorie giuridiche moderne proponendo un pacchetto di norme che più facilmente aderiscono agli interessi configgenti e quindi può aiutare ad “avvicinare” il momento regolativo agli effettivi destinatari, non senza il rispetto della normativa di riferimento.

Cosa comporta l’assenza della governance in mediazione

In definitiva, l’essenza della governance è un nuovo stile diverso dal modello orientato dal controllo gerarchico delle fonti e caratterizzata da forme di cooperazione tra soggetti pubblici e privati che esaltano la capacità di autoregolamentarsi. Quindi se la legge ed il diritto, hanno permesso di ristabilire l’ordine, può ritenersi che, oggi, in singoli settori di riferimento ove interessi e bisogni rivestono carattere sia indispensabile restituire ai singolo la possibilità di gestire autonomamente le relazioni.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Network Concilia Lex, attive le nuove sedi di Fonni (Nu), Rieti e Scafati (Sa)

Network Concilia Lex sempre più attivo ed esteso in tutta Italia. Da ieri sono infatti accreditate ed attive tre nuove sedi: a Fonni (Nu), Rieti e Scafati (Sa). La novità è la nostra prima sede in Sardegna, regione già da tempo considerata importantissima ai fini dell’espansione della nostra rete. La sede di Scafati (Sa) e l’altra di Rieti confermano invece il grande seguito che il nostro organismo di mediazione possiede in regioni come Campania e Lazio. Responsabili delle nuove sedi sono: la dott.ssa Valeria Bua per la sede di Fonni (Nu), la dott.ssa Simona Di Giovanni per la sede di Rieti, e il dott. Claudio Coda per la sede di Scafati (Sa).

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Mediazione sociale: ecco di cosa si tratta

La mediazione sociale  può rispondere ai conflitti di seconda generazione, quelli cioè di vicinato, di quartiere, familiari, interculturali, di ambiente e sul posto di lavoro, laddove si possono vivere una serie di incomprensioni, di offese, di violenze, più o meno palesi, che necessitano di una riparazione, possibilmente non vendicativa da parte della vittima, anche se legittimata da una legge dello Stato, ma che vada nel senso di una giustizia riparativa e che porti a una evoluzione del colpevole, ridonando, al contempo, fiducia e soddisfazione alla vittima.

La mediazione sociale, come gli altri tipi di mediazione, non è fondata su una generica buona volontà delle persone, quanto piuttosto sulla intenzione e convenienza delle parti coinvolte di rispettare il contratto o il patto sociale di convivenza che le lega; la mediazione sociale è una pratica che esige lo sforzo di tutte le parti in causa e, quindi, è un percorso bilaterale o plurilaterale che suppone la possibilità del cambiamento fra le parti attrici: la finalità è quella di darsi regole condivise, condizione necessaria per concreti accordi e un vivere collettivo costruttivo.

Regole condivise e comuni consentono, inoltre, alle parti di porre in essere valutazioni di adeguatezza teorica e pratica sugli accordi raggiunti e di negoziarne di nuovi; dal canto suo, il mediatore potrà svolgere la sua funzione di catalizzatore delle risorse e facilitatore dell’impresa dialettica, secondo quel principio di equità, ben noto a chi svolge tale ruolo, che consente un esito di vincita di tutte le parti coinvolte. Questo tipo di mediazione tende quindi all’efficienza ai fini della capacità gestionale dei conflitti socioculturali, ma è anche pedagogicamente efficace su tutti i soggetti coinvolti, consentendo benefici, riduzione dei costi e, soprattutto, di investire sulle lunghe scadenze.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Confindustria e il suo rapporto con la mediazione

Confindustria e la mediazione. La più importante ed influente associazione dell’imprenditoria italiana non ha mai fatto mistero di un significativo interesse per le ADR, mediazione inclusa. Tale interesse è stato ribadito nel recente lavoro portato all’attenzione della Commissione Alpa sottolineando i punti da potenziare a livello normativo.

Confindustria e la mediazione: ecco i punti più importanti

Al primo posto vi è la mediazione su ordine del giudice. Il DL n. 69/2013 ha attribuito natura obbligatoria al tentativo di mediazione sollecitato dal giudice, rendendolo condizione di procedibilità della domanda. Si tratta di una scelta condivisibile, soprattutto in funzione dello smaltimento delle cause pendenti. L’autorevolezza del giudice, infatti, spinge le parti a considerare con maggiore serietà e disponibilità l’ipotesi di risolvere in via stragiudiziale la loro controversia, aumentando le chance di trovare un accordo6. Purtroppo, però, le potenzialità della mediazione su ordine del giudice non vengono ancora sfruttate adeguatamente. Sul punto, sarebbe opportuno incentivare maggiormente i magistrati a valutare per quali procedimenti iscritti a ruolo sia opportuno avviare un procedimento di mediazione, ad esempio comprendendo tale attività tra gli indici di valutazione della produttività dei giudici.

Ulteriore profilo da considerare nell’ambito della riforma della mediazione è quello della qualificazione degli Organismi. Sul punto, Confindustria ha sempre sostenuto che la qualità e la serietà degli Organismi costituiscono fattori decisivi per il successo dell’istituto. Risulta infatti essenziale che le parti affidino la gestione delle controversie a Organismi che presentino determinati requisiti organizzativi e professionali, tra cui trasparenza sulla scelta dei soggetti chiamati a gestire la procedura; tutela della riservatezza delle parti; possibilità di svolgere le procedure a distanza, attraverso l’utilizzo della telematica.

Confindustria e l’impiego delle Adr

Un altro aspetto sul quale Confindustria si auspica un intervento chiarificatore riguarda l’obbligo di assistenza legale nel procedimento di mediazione. Il DL n. 69/2013, nel ripristinare il principio dell’obbligatorietà, ha introdotto l’obbligo di assistenza legale nel procedimento di mediazione, al fine di rafforzare le garanzie delle parti e assicurare loro un sostegno tecnico nella procedura, il cui svolgimento è destinato a produrre effetti in un eventuale successivo giudizio. Sarebbe opportuno precisare che l’obbligo dell’assistenza legale è escluso nelle ipotesi di mediazione volontaria e di mediazione obbligatoria per contratto o statuto. In questi casi, infatti, lo svolgimento della mediazione è svincolato dal giudizio, pertanto, dovrebbe privilegiarsi il carattere di informalità della procedura di mediazione, lasciando le parti libere di farsi assistere o meno dall’avvocato.

Sotto un altro profilo, sarebbe auspicabile per Confindustria incentivare il ricorso alla mediazione per la risoluzione delle controversie in cui sia parte una Pubblica Amministrazione e aventi a oggetto comportamenti o attività di diritto privato. Il DL n. 132/2014, in tema di negoziazione assistita e arbitrato “speciale”, ha già introdotto misure specifiche per le controversie in cui sia parte una PA(la presunzione del consenso della PA al trasferimento della controversia in sede arbitrale; l’obbligo della PA di farsi assistere nella procedura di negoziazione assistita dalla propria Avvocatura, ove presente), sarebbe, pertanto opportuno prevedere simili accorgimenti anche in tema di mediazione.

Inoltre, al fine di favorire l’utilizzo della mediazione da parte della PA, si potrebbe agire sui profili di responsabilità dei funzionari che per conto dell’amministrazione gestiscono la procedura. Il rischio di una condanna per danno erariale, infatti, costituisce un forte disincentivo per il funzionario pubblico all’attivazione del procedimento di mediazione e ne scoraggia il ricorso. Sarebbe, quindi, opportuno prevedere meccanismi che consentano di esonerare da forme di responsabilità amministrativa il dipendente pubblico coinvolto nella risoluzione stragiudiziale della controversia (es. parere liberatorio dell’Avvocatura dello Stato, ove presente, ovvero di un avvocato).

Incentivo alla mediazione telematica

Infine, sempre con l’obiettivo di incentivarne l’utilizzo e il buon esito, occorre promuovere lo svolgimento in modalità telematica della procedura di mediazione. La trattazione a distanza, infatti, rende più agevole il procedimento e consente di superare gli ostacoli derivanti dall’impossibilità di prendervi parte fisicamente, salvaguardando il principio della partecipazione personale delle parti. L’attuale disciplina rimette alla discrezionalità dell’Organismo di mediazione la possibilità di attivare o meno mediazioni in via telematica. Tale discrezionalità, unita alla previsione del criterio territoriale per la presentazione della domanda di mediazione, rischia di determinare una disparità di trattamento che, in questo campo, andrebbe evitato. Pertanto, andrebbe riconosciuto alle parti il diritto di richiedere all’Organismo adito, ovvero presso il quale sono state convenute, l’attivazione di una procedura telematica.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

 

 

 

L’avvocato che assiste in mediazione: divieti ed obblighi

L’avvocato che assiste in mediazione. Quali sono i suoi divieti e i suoi obblighi? L’attuale normativa stabilisce che vi siano alcune incompatibilità del mediatore che, per via interpretativa, sono state estese agli avvocati delle parti istanti e delle parti chiamate in mediazione. Il D.M. 139/2014 recante modifiche al D.M. n. 180/2010, che regolamenta i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione, ha introdotto un nuovo articolo, il 14 bis, che è intitolato “incompatibilità e conflitti di interesse”.

Il comma 1, che è quello che ci interessa, disciplina i rapporti esistenti tra ciascun mediatore e l’organismo di mediazione in cui è iscritto, al fine di garantire che il mediatore possegga i requisiti di terzietà e indipendenza. Il primo comma della norma recita quanto segue: Il mediatore non può essere parte o in ogni modo assistere parti in procedure di mediazione dinanzi all’organismo presso cui è iscritto o relativamente al quale è socio o riveste una carica a qualsiasi titolo”.

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Mediazione trasformativa: il recupero del potere decisionale delle parti in mediazione (Parte II)

Mediazione trasformativa. Riprendiamo il discorso che abbiamo affrontato su questo blog un paio di giorni fa.

Diciamo subito che il potere decisionale delle parti è alla base di un particolare ed efficace modello di mediazione, quello della mediazione trasformativa, elaborato da Bush e Folger e trasmesso dall’Institute for the Study of Conflict Trasformation.

Mediazione trasformativa: i concetti di Empowerment e Recognition

L’attività del mediatore è rivolta a provocare alcune mutazioni nei comportamenti delle parti tali da far emergere Empowerment e Recognition. Entrambi sono intesi come spostamenti dinamici delle parti in conflitto nel percepire sé e l’altra parte. Nell’Empowerment, la parte si sposta da uno stato di debolezza ad uno di maggiore forza quando acquisisce maggiore autodeterminazione e consapevolezza dei propri interessi e bisogni ed è in grado di prendere decisioni in autonomia e di assumersi la responsabilità per queste. Si ha Recognition (riconoscimento) quando una parte che attua un cambiamento dà un riconoscimento all’altra, nel senso che si sposta da una posizione di chiusura verso di sé e di concentrazione dei propri bisogni ad una posizione di apertura verso l’altra parte in modo di capire anche il suo punto di vista.

In mediazione il contratto è strumento dell’autonomia delle parti

Se ci spostiamo sul piano giuridico, osservando la realtà dal punto di vista del giurista di diritto positivo, si rileva come negoziazione e mediazione si offrono di rilanciare la centralità del contratto, quale strumento dell’autonomia delle parti atto a regolare interessi privati. Si è osservato che procedimenti privati non eliminano le norme di legge, piuttosto esautorano il modello della giurisdizione a favore del pan-contrattualismo, ossia un modello di risoluzione delle controversie basato su un diritto “flessibile” fondato su un contratto che si flette alle esigenze delle parti.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avv. Pietro Elia.