Notizie e aggiornamenti dal mondo della Mediazione

Il comportamento delle parti: il suo ruolo in mediazione

Il comportamento delle parti. Qual è il suo ruolo all’interno di una mediazione? Dal testo dell’art. 8 d. lgs. n. 28/2010 si evince che il comportamento della parte nel corso del procedimento di mediazione è elemento centrale. La disciplina della condizione di procedibilità é completata dall’art. 5, comma 2 bis, il quale chiarisce che «la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo».

Comportamento delle parti e assenza di volontà conciliativa

Pertanto, per ritenersi il tentativo espletato sarà sufficiente anche un primo ed unico incontro dal quale emerga chiaramente l’assenza di volontà conciliativa. Bisognerà comunque capire se un primo incontro dovrà sempre tenersi ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità ovvero se quest’ultima possa dirsi soddisfatta, a prescindere dallo svolgimento del primo incontro, nelle ipotesi di mancata adesione della parte chiamata.

Tale valutazione non potrà certo ricadere sul mediatore, il quale al più potrà ricordare gli orientamenti giurisprudenziali in materia di primo incontro. Del resto ci sembra che le conseguenze negative dell’assenza della parte chiamata in mediazione siano state dal legislatore riversate nel successivo ed eventuale giudizio, mediante le disposizioni dell’art. 8 d. lgs. cit., che disegnano una delle più pregnanti forme di “interferenza” tra mediazione e successivo processo, prevedendo il fatidico argomento di prova ex art. 116 c.p.c. oltre all’eventuale sanzione di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Il comportamento delle parti: quale integra la mancata partecipazione

Quindi qual è il comportamento che integra la mancata partecipazione? Posto che sicuramente non partecipa la parte che non aderisce – rectius, che resta totalmente inerte – integra la mancata partecipazione anche il comportamento della parte che abbia aderito ma non si sia poi effettivamente presentata al primo incontro? Ovvero, ove fissati ulteriori incontri, la parte, per evitare le conseguenze sfavorevoli viste, sarà tenuta a presentarsi a tutti? E, infine, la partecipazione rimanda alla necessaria presenza della parte in senso sostanziale o è sufficiente la presenza del legale (soprattutto, anche se non esclusivamente, nelle ipotesi di mediazione obbligatoria)?

Un’interpretazione “garantista”, che tenga conto delle possibili ricadute nel corso del giudizio della previsione di cui al comma 5, dovrebbe portare a ritenere che l’atto di adesione iniziale della parte sia sufficiente a far sì che la successiva assenza della parte agli incontri non integri il comportamento di non partecipazione. In realtà, pare che la partecipazione, quantomeno nell’idea del legislatore, porti con sé un dovere di collaborazione che è possibile soddisfare solo essendo presenti agli incontri fissati dal mediatore o, quantomeno, al primo incontro che assume un significato cruciale.

A cura del responsabile scientifico Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Professione mediatore: le competenze del professionista

Professione mediatore. Nel corso di un lavoro di ricerca sul mondo delle professioni legali, analizzando le sequenze di interazione tra avvocati e mediatori da una parte e i loro reciproci clienti dall’altra, si è mostrato come la fiducia e l’autorità professionale siano negoziate e non date per scontate. Un ruolo cruciale nel favorire la legittimazione sarebbe così rivestito dalle competenze relazionali del professionista. Continue reading →

Mediatore: una nuova professione? La presenza dell’avvocato

La presenza dell’avvocato in mediazione. Un interessante studio sociologico si è posto il quesito di quanto quella del mediatore sia una nuova professione emergente. Cominciamo con l’analizzare un’importante variabile di questo studio: la presenza dell’avvocato. Quest’ultimo entra nel processo di mediazione anche, e soprattutto, in virtù del fatto che viene introdotta l’assistenza legale obbligatoria delle parti in lite. Tale scelta, fortemente ispirata e voluta dall’avvocatura, si legittima con il fatto che, per quanto la procedura si collochi al di fuori del processo civile, si pone comunque nell’ambito della tutela dei diritti e degli interessi dei consociati dell’ordinamento giuridico.

La presenza dell’avvocato: forma di garanzia per le parti

La presenza dell’avvocato diventa dunque una forma di garanzia per le parti così come anche per il mediatore. Essa comporta, tuttavia, alcune importanti conseguenze. Per i puristi della mediazione è la sola presenza di un soggetto terzo e imparziale che di per sé consentirebbe la composizione tra due parti in conflitto. Quindi con la presenza degli avvocati, la relazione si frammenta e allo stesso tempo si moltiplica: tra le parti, fra queste e il mediatore, fra avvocati e parti, fra mediatore e avvocati, eventualmente fra mediatore e co-mediatore ed eventualmente fra questo e tutti gli altri.

Pertanto chi è il soggetto terzo all’interno di questa complicata dinamica? Tra chi si trova a dover mediare? Non si tratta semplicemente di una maggiore difficoltà a gestire le molteplici sequenze di interazione che vengono a determinarsi. Ognuno degli attori presenti è portatore di una sua specificità, di suoi interessi ma, anche, di un suo modo di intendere la mediazione.

Percezione in mediazione: le diverse reazioni

Da una ricerca condotta recentemente sulle percezioni in mediazione emerge come tutti i soggetti della relazione maturino, in riferimento alla loro specificità – di genere, professionale, di ruolo – percezioni profondamente diverse riguardo a ciò che sia giusto e possibile, nonché al diverso grado di consapevolezza di quanto effettivamente si sta verificando durante il ricorso alla mediazione. Mediatore e avvocato, per esempio, sono socializzati a svolgere un mestiere diverso e in assoluto contrasto: per il primo vige il principio di imparzialità, per il secondo l’interesse della parte che a lui si affida. É dunque difficile che si instauri a priori un rapporto di tipo collaborativo per la risoluzione della questione. Ciò è spesso indipendente dalla volontà o dalla buona fede reciproca, ma rinvia piuttosto al tipo di competenze che sono state acquisite e interiorizzate e al modo in cui il professionista si legittima nella relazione con il cliente.

Nel prossimo articolo parleremo invece di quali sono le competenze professionali richieste dalla professione di mediatore.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia

Conflitto e cultura: la punta dell’iceberg

La cultura è parte integrante di ogni conflitto dal momento che i conflitti riguardano le relazioni umane. Essa influenza il modo in cui noi intendiamo, elaboriamo, critichiamo, e cerchiamo di ridurre i conflitti. Che un conflitto esista è una questione culturale. Etichettare alcune delle nostre interazioni come conflitti ed analizzarle in piccole componenti è un tipico approccio occidentale che può farci trascurare altri aspetti della relazione.

La cultura è sempre un fattore di conflitto, sia che giochi un ruolo centrale sia che lo influenzi sottilmente o leggermente. In ogni conflitto che riguarda la nostra identità permane una componente culturale. I conflitti fra adolescenti e genitori, ad esempio, sono regolati dalla cultura generazionale, e i conflitti fra coniugi o partner sono influenzati dalla cultura di genere. Nelle organizzazioni, i conflitti spesso nascono da tensioni che si sviluppano a partire da differenti culture comportamentali fra collaboratori, che creano una comunicazione stentata o poco accurata e relazioni molto tese. La cultura permea il conflitto– talvolta con irruenza, talvolta in maniera sottile, ma è sempre un elemento presente e prima o poi le persone ci si devono scontrare.

La cultura è connessa al conflitto, anche se non ne è la causa. Quando le differenze vengono fuori in famiglia, nelle organizzazioni, nelle comunità, la cultura è sempre presente, formando le percezioni, gli atteggiamenti, i comportamenti, e i risultati. Quando i gruppi culturali a cui apparteniamo sono la maggioranza nella nostra comunità o nazione, ci rendiamo conto di meno dei messaggi che ci inviano. La cultura che appartiene al gruppo dominante spesso sembra “naturale o normale”. Solitamente notiamo solo gli effetti delle culture “diverse”, quando etichettiamo comportamenti che ci sembrano “esotici” o “strani”.

In sintesi, possiamo affermare che la cultura è come un iceberg – per la maggior parte sommerso – ed è importante tenerne presente nelle analisi e nelle azioni. Gli iceberg possono essere pericolosi, soprattutto se non ne conosciamo la grandezza e il luogo.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Governance e mediazione: quanto sono intrecciate tra loro

Governance e mediazione. Autorevoli studi hanno analizzato il senso della governance della mediazione, che significa cercare di capire come la definizione di governance si declina in questo contesto. Oggi con il termine governance si indicano precise e specifiche dinamiche istituzionali che contribuiscono a forgiare le regole giuridiche e le modalità della loro assunzione, ma in senso più generico per indicare il modo in cui di fatto funziona una certa istituzione e quindi l’insieme delle regole e dei soggetti che contribuiscono a governarli e quindi a regolarli.

Governance e mediazione: le differenze tra presenza e assenza di quest’ultima

Se la legge è il mezzo privilegiato della democrazia, la governance fa ricorso ad altri strumenti giuridici quali, ad esempio, il contratto. In questo senso, la governance opera una destrutturazione delle categorie giuridiche moderne proponendo un pacchetto di norme che più facilmente aderiscono agli interessi configgenti e quindi può aiutare ad “avvicinare” il momento regolativo agli effettivi destinatari, non senza il rispetto della normativa di riferimento.

Cosa comporta l’assenza della governance in mediazione

In definitiva, l’essenza della governance è un nuovo stile diverso dal modello orientato dal controllo gerarchico delle fonti e caratterizzata da forme di cooperazione tra soggetti pubblici e privati che esaltano la capacità di autoregolamentarsi. Quindi se la legge ed il diritto, hanno permesso di ristabilire l’ordine, può ritenersi che, oggi, in singoli settori di riferimento ove interessi e bisogni rivestono carattere sia indispensabile restituire ai singolo la possibilità di gestire autonomamente le relazioni.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.