Notizie e aggiornamenti dal mondo della Mediazione

Sovraindebitamento e mediazione: tutti i vantaggi

L’accostamento della procedura di mediazione con la scelta di ricorrere ad una delle procedure disciplinate dalla legge n. 3/2012 porta quindi a molteplici vantaggi. Il ricorso alla mediazione consente, in primo luogo, di ottenere l’immediata formazione di un titolo esecutivo, anche con la rinuncia ad una parte del debito dovuto da parte della banca, soprattutto in presenza di patrimoni incapienti a garantire la restituzione di quanto dovuto.

Vantaggi principali: risparmiare tre gradi di giudizio

In secondo luogo l’esito positivo della mediazione permette di risparmiare tre gradi di giudizio ed una procedura di esecuzione forzata inidonea ad assicurare una sufficiente tutela al debitore ed ai creditori sui quali finisce per gravare anche il pregiudizio della dispersione dei beni e l’eccessiva durata dei processi. In terzo luogo il collegamento tra mediazione e procedure ex legge n. 3/2012 consente ai creditori di poter ottenere, seppure alla luce delle limitate possibilità patrimoniali del debitore, la miglior realizzazione del diritto di credito nel minor tempo possibile.

Tuttavia attualmente nella pratica la concreta possibilità di attuare simili soluzioni è resa particolarmente difficile dalle rigidità delle contrapposte prese di posizioni dei soggetti in conflitto. Da un lato si trovano spesso iniziative di mera resistenza processuale alle richieste di adempimento del credito, finalizzate a far guadagnare tempo, confidando sui tempi necessari alla definizione dei processi da parte di un sistema giudiziario ingolfato.

Dall’altro lato si riscontra, spesso, una gestione eccessivamente centralizzata del contenzioso da parte delle banche, oltre che forme di eccessiva burocratizzazione che portano a preferire la decisione giurisdizionale che statuisce sull’esistenza e sul modo di essere di un diritto, esonerando in tal modo da ogni responsabilità in ordine ad un eventuale accordo transattivo. Quindi è auspicabile un cambio di tendenza in tal senso e quindi un mutamento dello status quo appena descritto, poiché un sistema così concepito è fatalmente destinato a generare un involuzione: in mancanza della ristrutturazione del debito e dell’esdebitazione non si possono ripartire i consumi, che costituiscono un fattore propulsivo determinante della ripresa economica e conseguentemente, anche chi svolge attività di impresa bancaria risente di un impasse, dovendo muoversi nelle secche dei crediti in sofferenza, così come chi esercita attività di impresa in genere.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Sovraindebitamento e mediazione: la disciplina in merito

Negli stessi anni in cui il legislatore ha riformato il processo civile, anche tramite l’introduzione della mediazione civile, è intervenuta un’importante riforma in ambito concorsuale, la quale ha dato completezza al diritto concorsuale, mediante l’introduzione di procedure dirette a disciplinare situazioni di sovraindebitamento dei soggetti non rientranti nell’ambito di applicazione della legge fallimentare. La conseguenza è stata la rottura della simmetria che vedeva, nell’ipotesi di insolvenza, la corrispondenza tra soggetti fallibili e procedure concorsuali e soggetti non fallibili assoggettabili solo a procedure individuali.

Le discipline della mediazione (d.lgs. n. 28/2010) e quella del sovraindebitamento (legge n. 3/2012) solo apparentemente appartengono a due mondi distinti. Le stesse possono trovare, infatti, un importante punto di convergenza, soprattutto nell’ipotesi del contenzioso bancario e finanziario, in quanto discipline caratterizzate entrambe da un minimo comun denominatore, costituito dal coinvolgimento dei medesimi soggetti, cioè il creditore ed il debitore e dalla comune finalità di soluzione del conflitto di interessi tra questi ultimi.

In presenza di una situazione di sovraindebitamento il debitore è portato ad intraprendere una strategia finalizzata a resistere alla domanda di adempimento del credito ed in un contesto simile la mediazione può svolgere un ruolo importante nella composizione delle reciproche pretese vantate dalle parti, soprattutto laddove l’oggetto si sposti dalle complesse questioni giuridiche inerenti la normativa bancaria alle effettive possibilità di realizzazione del credito in relazione al patrimonio che ne costituisce la garanzia ai sensi dell’art. 2740 c.c..

La mediazione può quindi diventare un territorio elettivo se e nella misura in cui riesca a proporre soluzioni conciliative della singola controversia, tenendo conto della complessiva situazione economica del debitore e della sua esposizione debitoria, anche in relazione alle soluzioni offerte dalla legge sul sovra indebitamento, tenuto conto anche quest’ultima è un opzione ideata dal legislatore frutto di una scelta di economia giudiziale finalizzata a non intasare i tribunali di procedure minori, al fine di non vanificare la scelta operata dalla riforma della legge fallimentare del 2005 con l’introduzione delle soglie di fallibilità.

Sul piano della concretezza degli effetti applicativi,uno dei fattori che non ha consentito la diffusione applicativa della disciplina del sovraindebitamento, in considerazione dell’elevato tasso di tecnicità della legge n. 3/2012 e del fatto che i soggetti che ne sono destinatari (soprattutto le persone fisiche) non hanno in via ordinaria contatti continuativi con professionisti che siano in grado di fornire un supporto tecnico – giuridico adeguato al fine di prendere conoscenza delle possibili soluzioni della propria situazione di crisi, a differenza di quanto avviene, invece, per l’imprenditore.

Quindi una buona soluzione potrebbe essere  pertanto costituita dal passaggio obbligatorio attraverso la procedura di mediazione nell’ambito del contenzioso bancario, anche nella prospettiva di evidenziare al debitore, in tale sede, possibili scelte di tipo concorsuale, tali da consentire di affrontare l’intera esposizione debitoria ed al contempo rendere più appetibile al creditore l’accettazione di una soluzione transattiva, nella prospettiva di poter ottenere – proprio grazie al successivo ricorso ad una procedura concorsuale – in via più rapida la realizzazione, anche percentuale (ma pur sempre secondo le concrete possibilità del debitore) del proprio debito.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

 

 

 

 

L’affermarsi di un nuovo bisogno di mediazione: la regolazione sociale

Con la globalizzazione, la regolazione sociale vede indebolirsi tutti i processi e i criteri tradizionali e soprattutto viene colpito il grande produttore moderno dell’istituzionalizzazione: lo Stato. Nella società delle pari opportunità anche la regolazione sociale deve potersi declinare su scala individuale. “Se la logica dell’individualismo, dunque, porta ad una richiesta nuova e crescente di regolazione individualizzata, il ricorso alla mediazione, risponderebbe tanto a un bisogno di carattere pratico e utilitaristico che alla rinnovata necessità di una soluzione privata del conflitto.”

Le regolazione sociale e mediazione: il legame con l’altro

La mediazione, valorizzando il legame con l’altro, permette di entrare in contatto con la sua razionalità. In questo contesto la mediazione, aldilà delle sue diverse e molteplici applicazioni, assume i connotati di un metodo, il cui valore e la cui rinnovata modernità risiedono proprio nel proporre una nuova forma di regolazione sociale fondata su questa capacità riflessiva, vale a dire sul riconoscimento delle reciproche differenze e sull’assunzione di responsabilità delle parti. Se la risoluzione del conflitto rappresenta l’obiettivo della mediazione, è tuttavia la possibilità che questa pratica offre di sperimentare lo stare in relazione delle parti, e dunque di evidenziare la permanenza del legame sociale, che costituisce l’elemento certamente più significativo di questo approccio.

La mediazione non può essere ridotta solo a tecnica

La mediazione non può dunque essere ridotta a dei metodi o a delle tecniche, nella misura in cui ciò che ne sta al fondamento è, o dovrebbe essere, l’aspirazione ad una trasformazione umanista del sociale attraverso una rivisitazione dei rapporti relazionali. Quindi se la mediazione deve essere letta come un fenomeno plurale, che si inscrive all’interno di una profonda crisi dei sistemi di regolazione sociale tradizionali, non possiamo limitarci a considerarla come una semplice risposta alle disfunzioni del sistema giudiziario, quanto piuttosto come una modalità di regolazione delle controversie basata sull’attribuzione di responsabilità.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

 

Cassazione: il dies a quo non cambia

Un recentissimo dictum della Corte di Cassazione (sentenza del 13 giugno 2017, leggila qui) respinge una forzata interpretazione dell’art. 176 del Codice di procedura civile che regolamenta il criterio di conoscenza delle ordinanze emesse dal magistrato. La questione davanti al Giudice di legittimità è la conseguenza della dichiarazione di improcedibilità, ad opera del Tribunale di Napoli, della domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione proposta nelle forme del giudizio di convalida di sfratto.

Distorta applicazione della norma

Il ricorrente, nel caso di specie, contestava una distorta applicazione della norma di cui sopra associate alla violazione degli artt. 136 e 156 c.p.c.. Quindi l’ordinanza che prevedeva il tentativo di mediazione sarebbe dovuta essere comunicata alle parti con biglietto di cancelleria, non avendo ragion d’essere la presunzione di conoscenza ex art. 176 c.p.c..

La Cassazione non ha condiviso tale doglianza

La Cassazione non ha condiviso tale doglianza, proprio partendo dal tenore letterale del secondo comma dell’art. 176, che espressamente prevede che le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi*; quelle pronunciate fuori dell’udienza sono comunicate* a cura del cancelliere* entro i tre giorni successivi. Quindi non si può estendere l’enunciato normativo che prevede la nullità delle ordinanze pronunciate fuori udienza, qualora queste ultime non siano comunicate dalla cancelleria nel termine previsto.

*Le definizioni dei termini rimandano al dizionario giuridico Brocardi.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Mediatore: una nuova professione? Le relazioni tra i professionisti

Relazioni tra professionisti. Negli articoli dei giorni scorsi abbiamo trattato l’argomento della nuova professione del mediatore analizzando la presenza dell’avvocato ed altre variabili. A ciò possiamo aggiungere che ugualmente, può darsi che in mancanza di competenza in merito sia lo stesso legale a scegliere di rivolgersi allo specialista in accompagnamento delle parti. Si apre così lo spazio per nuove e più flessibili configurazioni del rapporto tra queste due professioni. Cerchiamo di capirci di più.

Relazioni tra professionisti: le dinamiche di interazione reciproca

In questa prospettiva diventerà un terreno di particolare interesse, per la riflessione sulla professionalizzazione della mediazione, l’analisi delle dinamiche di interazione reciproca che verranno configurandosi tra i diversi attori dentro e fuori la procedura mediativa. In particolare si tratta di far risaltare, accanto ad aspetti più tipici della riflessione sulle professioni che già precedentemente abbiamo trattato (i metodi di remunerazione, il reclutamento e l’addestramento, i tipi di carriera, i conflitti di ruolo, le relazioni interpersonali sul lavoro, l’immagine pubblica delle professioni, e la distribuzione del potere e del prestigio nel loro ambito), l’eventuale sperimentazione di forme di associazione e cooperazione nelle quali mediatori e avvocati si possono ancorare reciprocamente attraverso relazioni di scambio e cooperazione; quale ruolo verranno a attori e ruoli di intermediazione e coordinamento, quale peso avrà il fattore istituzionalizzazione.

L’avvocato mediatore e l’avvocato accompagnatore

Ciò è davvero importante per rendersi conto dei processi di trasformazione in atto. Quindi dai concetti innovativi appena trattati sembrano, inoltre, emergere due nuove figure di avvocato – l’avvocato mediatore e l’avvocato accompagnatore – che andranno ad accentuare, almeno in via potenziale il carattere segmentato che va sempre più assumendo la professione forense e probabilmente questa potrebbe essere la via per ottenere una definitiva quanto certa “professionalizzazione” della figura del mediatore.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

L’affermarsi di un nuovo bisogno di mediazione: i cambiamenti normativi

Nuovo bisogno di mediazione. Ormai si parla di mediazione per ogni intervento di un terzo nella gestione delle relazioni sociali, sia che si tratti di attività tradizionali (come quelle di negoziatori, conciliatori, mediatori veri e propri) ma anche di funzioni nuove come quella di facilitatori, comunicatori, persone che svolgono un lavoro di raccordo o di facilitazione nell’accesso a delle risorse. Questo fenomeno crescente e plurale non può essere ridotto ad una semplice tecnica di risoluzione veloce ed economica dei conflitti ma si inscrive all’interno di una crisi generalizzata delle tradizionali strutture di regolazione e di socializzazione come la giustizia, la famiglia e la scuola. All’interno di una società individualizzata, come quella contemporanea, si assiste, tra le altre cose, al prodursi di cambiamenti normativi importanti che danno sempre più spazio e margine di manovra ai singoli che sentono di poter di agire indipendentemente dai legami collettivi.

Nuovo bisogno di mediazione e cambiamenti normativi in atto

Secondo autorevole dottrina, la libertà individuale di scegliere sarebbe l’espressione di questo individualismo positivo le cui parole chiave sono: scelta, autodeterminazione e contratto. In questa prospettiva si assiste ad un trasferimento di responsabilità verso l’individuo sollecitato a fare lui stesso ciò che ha meno bisogno di delegare alla società: aumenta lo spazio per l’autoregolazione. A ciò va aggiunto che il processo di individualizzazione, mentre da un lato contribuisce a promuovere il desiderio di uguaglianza, dall’altro non garantisce la sussistenza delle condizioni che ne rendono possibile il realizzarsi: “questo cambiamento esisterebbe più nella coscienza delle persone e sulla carta che nei comportamenti e nelle condizioni sociali”.

Esigenza regolativa individuale e mediazione

Questa maggiore sensibilità per le diseguaglianze e per le promesse non mantenute, starebbe, per altro, alla base della crescente diffusione del rancore nella nostra contemporaneità. Il disagio della civiltà non dipenderebbe più dal controllo sociale esercitato dalla civilizzazione, ma, al contrario, proprio da una competizione estrema che influenza in modo profondo la società. Ciò non significa che i privilegi dell’autonomia individuale conducano ad una libertà senza principi, ma al contrario più tutto è possibile, più ognuno è libero e legittimato ad accampare «le proprie buone ragioni» e più viene al contempo avvertita la necessità di controllarsi, nel duplice senso di porre un limite alle proprie pretese e tutelarsi rispetto alle pretese dell’altro. È senz’altro a questa esigenza regolativa affermatasi al livello individuale che, almeno in parte, risponderebbe l’affermarsi della mediazione come modalità alternativa di risoluzione dei conflitti.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Mediazione online: ecco quali potrebbero essere le criticità

La mediazione online, oltre a tanti vantaggi e caratteristiche positive, potrebbe a volte presentare delle criticità. Questo almeno stando alle esperienze di coloro che vi si sono affidati. Per ciò che concerne la mancata presenza personale delle parti, ad esempio, si può mettere in evidenza che essa, se nella mediazione tradizionale può creare del disagio, nell’interazione diretta può consentire una lettura del linguaggio del comportamento ed elimina i rischi di eccessiva formalizzazione causata proprio dall’assenza delle parti. Inoltre la possibilità di descrivere la propria versione direttamente alla controparte e di esprimere le proprie emozioni, può certamente esercitare una funzione “catartica” sui partecipanti alla mediazione.

Mediazione online e dinamiche relazionali differenti

La mediazione online del resto manca delle dinamiche caratterizzanti la mediazione tradizionale, perché si realizza a distanza e dinanzi allo schermo del pc. Se si trattasse solo di liti emerse nell’e-commerce, tali caratteristiche non creerebbero particolari problemi, ma ove si estendesse a dispute più legate ad aspetti emotivi, la separazione materiale delle parti si tradurrebbe nella perdita di una grande opportunità di definizione della controversia.

L’importanza dell’aspetto emotivo

La disgiunzione dei litiganti potrebbe poi costringere le parti a raccontare la propria versione in termini logici e razionali, senza dare una diretta percezione di come gli altri soggetti coinvolti nella controversia stiano reagendo a quanto si sta affermando. Inoltre, nella mediazione cibernetica, l’assenza di una presenza materiale potrebbe rendere difficile al mediatore il mantenimento dell’effettivo controllo della negoziazione delle parti. Alla luce di tali considerazioni, pare logico affermare che questa tipologia di mediazione sia più efficace nelle questioni bagatellari o comunque dove non emerge in maniera prevalente l’aspetto emotivo. Importante, infine, la formazione del mediatore anche in questo campo, con un professionista che dovrà essere in grado di gestire la situazione anche sul campo online.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A. avvocato Pietro Elia.

L’eventuale nullità di un procedimento di mediazione può essere fatta valere solo nel procedimento giudiziario

L’eventuale nullità di un procedimento di mediazione può essere fatta valere solo nel procedimento giudiziario. Il Tribunale di Padova, nella sentenza dello scorso 19 ottobre (leggila qui), è stato chiamato a decidere in merito ad un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo. Quest’ultimo era stato emesso per indennità di mediazione non corrisposte da una o più parti dopo lo svolgimento della procedura di mediazione. In tale contesto si esclude che le eccezioni avanzate dall’ opponente possano trovare spazio in altro procedimento giudiziario anche se relativo al procedimento di mediazione contestato e in specie quello apertosi per il pagamento delle indennità di mediazione.

Le eccezioni di nullità dovranno pertanto essere fatte valere solo nel procedimento principale, quello dal quale la procedura di mediazione ebbe origine. La motivazione della decisione del Tribunale di Padova è   basata sia sulle singole questioni di nullità sollevate dalla parte, nonché dal fatto che il verbale di chiusura del procedimento non fosse stato impugnato per falsità, e che dunque esso era da considerarsi prova dei fatti svoltosi.

Il tribunale di Padova si esprime anche sulla presenza/assistenza dell’avvocato

Ma la sentenza del Tribunale di Padova emessa lo scorso 19 ottobre appare rilevante anche per un’altra questione poco dibattuta ed oggetto dell’eccezione di nullità avanzata da una parte: la presenza e l’assistenza dell’avvocato nella procedura di mediazione. Questa, secondo il Tribunale di Padova deve essere letta attraverso il combinato disposto degli articoli 8 e 12 del d. lgs. n. 28/2010 e ss.mm.,[1]  oltre che  alla luce della sentenza emessa dalla Corte di Giustizia in data 14.6.2017 C 75[2] , secondo la quale nelle procedure ADR che riguardano i consumatori la presenza e l’assistenza dell’avvocato non possono essere prescritte come obbligatorie.

Il Tribunale sembra accogliere la decisione della Corte Europea e farne proprie le conclusioni criticamente, anche se a parere di questo commentatore la controversia sottoposta al giudice di Padova non pare affatto pertinente al rapporto professionista/consumatore o più in generale alla materia del consumo e dunque affatto pertinente al thema decidendum.

Commento a cura dell’avvocato Maria Vittoria Occorsio.

 

[1] Sia consentito il riferimento a : Maria Vittoria Occorsio , “La mediazione demandata dal Giudice“,  ed. Primiceri  giugno 2016, cap. 3 pagg. 37 e segg., secondo la quale  il d.lgs. 28/2010 prevede come necessaria solo la presenza della parte, proprio a mente di quanto prescritto nell’ articolo 12 dello stesso testo normativo per il quale possono sussistere ipotesi in cui le parti non siano assistite da un avvocato e l’ accordo firmato dovrà essere sottoposto alla omologazione del Presidente del Tribunale per acquisire esecutività.

[2] La questione era stata sollevata dal Tribunale di Verona in relazione ad un procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo in materia di contratti bancari .

Adr poco utilizzate: il Tribunale di Roma prende posizione

Adr poco utilizzate, soprattutto dalla Pubblica Amministrazione. Un’altra interessante decisione della XIII sezione del Tribunale di Roma ci induce ad una seria riflessione del rapporto che vi è tra Pubblica Amministrazione e mediazione. Nonostante gli impulsi e gli inviti ad usufruire dei benefici dell’istituto, si continua a registrare un’inspiegabile avversità anche davanti all’evidenza come lo è nella sentenza del Dr. Moriconi (datata 30 novembre scorso) del caso di cui ci andiamo ad occupare.

Adr poco utilizzate: il Giudice ne sottolinea le conseguenze negative

In una controversia che vede convenuti sia il comune di Roma che una sua società partecipata, il magistrato capitolino spiega, in maniera analitica, perché la società in questione avrebbe dovuto partecipare al tentativo di mediazione ordinato dal giudice. Il primo motivo insiste sul disattendere l’ordine ex art. 5 co 2, il quale integra colpa grave – se non dolo- se non è seriamente contestabile ed ampiamente motivato. Inoltre se fosse stata tentata la mediazione il tentativo di accordo probabilmente non sarebbe fallito anche alla luce delle prescrizioni contenute nell’ordinanza.

Tale comportamento nella sentenza viene stigmatizzato e sostenuto da un’opinione sempre più significativa che “solo il competente e sperimentato utilizzo su larga scala degli strumenti A.D.R. (che nella realtà si sostanziano nella mediazione obbligatoria e demandata e nella proposta del giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc), potrà avviare a soluzione l’universalmente noto endemico male della Giustizia civile italiana rappresentato dalla durata delle cause”.

Processi troppo lunghi anche per esiguo utilizzo della mediazione da parte della P.A.

Le Adr poco utilizzate conducono direttamente all’eccessiva durata dei processi. Quest’ultima oltre a penalizzare la parte più debole che resiste male alle lungaggini processuali “a cui spesso seguono altrettante defaticanti esecuzioni, offre del Paese un’immagine anche internazionale di arretratezza e di incapacità di affrontare le sfide dei tempi, rappresentandolo in questo settore strategico in gran parte rilegato in una sfera a se stante scollegata dalle tumultuose e rapide temperie della vita e della società attuale; con effetti assai negativi che si ripercuotono in gangli vitali quali lo sviluppo delle imprese e l’allogazione delle risorse da parte delle aziende straniere”.

Inoltre tale status quo potrebbe addirittura influire sulla qualità del contenuto delle sentenze, dato che scrivere sentenze di qualità richiede tempo e tanto tempo non c’è dato il gran numero di sentenze che i giudici italiani devono scrivere. Tutto questo per concludere che l’inottemperanza, ingiustificata, delle parti al provvedimento del giudice ex art. 5 comma II° decr. lgsl.28/10, che richiede l’effettiva partecipazione alla mediazione, costituisce sempre una grave inadempienza, dalla quale ben può discendere, secondo le circostanze del caso, l’applicazione della sanzione di cui al terzo comma dell’art.96 cpc. La partecipazione al procedimento conciliativo è un valore a sé stante, che prescindendo dal merito e quindi dalla logica torto/ragione, non può essere ignorata, senza conseguenze, sulla base del convincimento (quand’anche successivamente avvalorato dalla decisione del giudice) di non dover incorrere nella soccombenza.

Insomma…non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

 

Spese di avvio in mediazione: non è possibile fissarle sotto i 40 euro

È possibile fissare le spese di avvio dei procedimenti di mediazione a 30 euro più Iva anziché a 40 euro, così come previsto dal DM 180/2010? La risposta è no. Il quesito, che è stato posto nei giorni scorsi da un organismo di mediazione, ha avuto dunque risposta nettamente negativa dalle istituzioni. La domanda era stata infatti posta al Ministero della Giustizia (Dipartimento Affari di Giustizia), e prendeva in causa la previsione contenuta nell’art. 16 comma primo, del su citato Decreto Ministeriale 180 del 2010, secondo cui l’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.

Spese di avvio: derogabilità verso il basso solo per le spese di mediazione

La risposta al quesito (datata 28 novembre scorso), ad un certo punto, spiega il perché della negazione e riporta testualmente tali parole: “Quando l’art. 16, comma 14, del DM 180/2010, consente la derogabilità verso il basso degli importi minimi delle indennità, sembra riferirsi unicamente alle spese di mediazione, non anche alle spese di avvio che, dunque, non solo non possono essere ridotte, ma neanche eliminate del tutto”.

La cifra di 40 euro costituisce l’importo minimo

Proprio per questo motivo, sempre tenendo conto di quanto stabilito dall’art. 16, comma 2 del DM 180/2010, viene confermato il fatto che per le spese di avvio ciascuna parte deve, per lo svolgimento del primo incontro, la cifra di 40 euro per le liti di valore fino a 250 mila euro. La cifra sale ad 80 euro per le liti che superano i 250 mila euro. Viene anche chiarito, infine, che tale importo è dovuto anche in caso di mancato accordo. Il ministero di Via Arenula chiarisce così, una volta per tutte, i dubbi sulle spese di avvio.

 

A cura dell’addetto stampa Concilia Lex S.p.A., dott.ssa Jenny Giordano.