Il tema della formazione alla mediazione penale, è stato oggetto in questi ultimi anni, di un acceso dibattito, mirante a definire quale debba essere la concreta preparazione del mediatore. Fino ad oggi sono pochi i Paesi in Europa che hanno un codice deontologico del mediatore. Lo statuto di tale figura professionale rimane ancora poco definito, anche se la Raccomandazione R(99)19, relativa alla qualifica della figura del mediatore in ambito penale offre importanti spunti di riferimento.
Secondo tali indicazioni infatti:
- “i mediatori dovrebbero essere reperiti in tutte le aree sociali e dovrebbero possedere generalmente una buona conoscenza delle culture locali e comunitarie”(art.22)
- “i mediatori dovrebbero ricevere una formazione iniziale di base e effettuare un training nel servizio prima di intraprendere l’attività di mediazione” ( art. 24)
- “i mediatori dovrebbero acquisire, attraverso la formazione, un alto livello di competenza che tenga presenti la capacità di risoluzione del conflitto, i requisiti specifici per lavorare con le vittime e gli autori di reato, nonché una conoscenza base del sistema penale” (art. 24)
E’ necessario sottolineare altresì che il riferimento alla normativa internazionale risulta indispensabile, mancando una precisa disciplina nazionale in materia e un riconoscimento formale della figura del mediatore esperto in programmi di giustizia ripartiva. Inoltre un mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa, per esprimere un alto livello di competenza, deve conoscere il contesto in cui opera, deve saper trasmettere la cultura della giustizia riparativa, deve saper mediare, deve saper organizzare e accompagnare il percorso di giustizia riparativa, in ogni sua fase.
A tal fine, ogni percorso formativo deve prevedere una formazione sia teorica che pratica sulla giustizia riparativa e su tutti i suoi programmi ed una formazione sugli aspetti giuridico istituzionali, psico- pedagogici e sociali connessi alla giustizia riparativa.
La mediazione può essere paragonata ad una cassa di risonanza che accoglie per poi restituire, in cui i protagonisti sono unicamente le parti; per questo motivo il percorso di formazione alla mediazione non aggiunge ma porta ad una essenzialità costruttiva, non implementando bensì facendo emergere tutto quanto c’è già. La mediazione non vuole sanare il conflitto, ma solo prendersi “cura” dei suoi effetti distruttivi, avendo ben chiaro che non tutto è mediabile. Dunque il mediatore non ha potere, non dà consigli, non propone soluzioni, non interpreta, non assume in quella veste né il ruolo di un terapeuta, né di un educatore tantomeno di un avvocato… sarà semplicemente una figura terza, neutrale ed equiprossima al servizio dei mediandi. Pertanto credo che lo sforzo più importante sia quello di non utilizzare questi strumenti nuovi con una mentalità antica, altrimenti vi è il pericolo di usare la mediazione e la riparazione come delle pene, finendo per tradire la ratio di una giustizia che – come afferma il Consiglio d’Europa – aspiri a diventare “più costruttiva e meno afflittiva.“
A cura di: Dott.ssa Mariella Romano