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Adr poco utilizzate: il Tribunale di Roma prende posizione

Adr poco utilizzate, soprattutto dalla Pubblica Amministrazione. Un’altra interessante decisione della XIII sezione del Tribunale di Roma ci induce ad una seria riflessione del rapporto che vi è tra Pubblica Amministrazione e mediazione. Nonostante gli impulsi e gli inviti ad usufruire dei benefici dell’istituto, si continua a registrare un’inspiegabile avversità anche davanti all’evidenza come lo è nella sentenza del Dr. Moriconi (datata 30 novembre scorso) del caso di cui ci andiamo ad occupare.

Adr poco utilizzate: il Giudice ne sottolinea le conseguenze negative

In una controversia che vede convenuti sia il comune di Roma che una sua società partecipata, il magistrato capitolino spiega, in maniera analitica, perché la società in questione avrebbe dovuto partecipare al tentativo di mediazione ordinato dal giudice. Il primo motivo insiste sul disattendere l’ordine ex art. 5 co 2, il quale integra colpa grave – se non dolo- se non è seriamente contestabile ed ampiamente motivato. Inoltre se fosse stata tentata la mediazione il tentativo di accordo probabilmente non sarebbe fallito anche alla luce delle prescrizioni contenute nell’ordinanza.

Tale comportamento nella sentenza viene stigmatizzato e sostenuto da un’opinione sempre più significativa che “solo il competente e sperimentato utilizzo su larga scala degli strumenti A.D.R. (che nella realtà si sostanziano nella mediazione obbligatoria e demandata e nella proposta del giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc), potrà avviare a soluzione l’universalmente noto endemico male della Giustizia civile italiana rappresentato dalla durata delle cause”.

Processi troppo lunghi anche per esiguo utilizzo della mediazione da parte della P.A.

Le Adr poco utilizzate conducono direttamente all’eccessiva durata dei processi. Quest’ultima oltre a penalizzare la parte più debole che resiste male alle lungaggini processuali “a cui spesso seguono altrettante defaticanti esecuzioni, offre del Paese un’immagine anche internazionale di arretratezza e di incapacità di affrontare le sfide dei tempi, rappresentandolo in questo settore strategico in gran parte rilegato in una sfera a se stante scollegata dalle tumultuose e rapide temperie della vita e della società attuale; con effetti assai negativi che si ripercuotono in gangli vitali quali lo sviluppo delle imprese e l’allogazione delle risorse da parte delle aziende straniere”.

Inoltre tale status quo potrebbe addirittura influire sulla qualità del contenuto delle sentenze, dato che scrivere sentenze di qualità richiede tempo e tanto tempo non c’è dato il gran numero di sentenze che i giudici italiani devono scrivere. Tutto questo per concludere che l’inottemperanza, ingiustificata, delle parti al provvedimento del giudice ex art. 5 comma II° decr. lgsl.28/10, che richiede l’effettiva partecipazione alla mediazione, costituisce sempre una grave inadempienza, dalla quale ben può discendere, secondo le circostanze del caso, l’applicazione della sanzione di cui al terzo comma dell’art.96 cpc. La partecipazione al procedimento conciliativo è un valore a sé stante, che prescindendo dal merito e quindi dalla logica torto/ragione, non può essere ignorata, senza conseguenze, sulla base del convincimento (quand’anche successivamente avvalorato dalla decisione del giudice) di non dover incorrere nella soccombenza.

Insomma…non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.