Notizie e aggiornamenti dal mondo della Mediazione

Primo incontro di mediazione: la volontà delle parti non è sufficiente a giustificare la chiusura della procedura

Un polverone è pronto a sollevarsi sul punto, ma il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con l’ordinanza che qui di seguito pubblichiamo integralmente, dimostra quello che Concilia Lex spa sostiene da tempo: il verbale cosiddetto negativo di primo incontro di mediazione può essere considerato alla stregua di un verbale di mancato accordo anche se una vera e propria mediazione, in realtà, non ci è mai stata?

Il verbale negativo

E’ adeguata la definizione di “verbale negativo”? Oppure è talmente generica e vaga da non lasciare intendere per quali circostanze la mediazione sia stata “negativa”?

Il Giudice, Dott.ssa Carla Bianco, con alla mano il “verbale  chiusura primo incontro di mediazione” redatto presso la sede Concilia Lex spa di Caserta da un mediatore esperto, con il quale si attestava la volontà di una delle parti di non procedere allo svolgimento della mediazione vera e propria, ritiene che una siffatta mediazione non possa nemmeno essere qualificata come mediazione.

La mediazione non può essere considerata come lo spazio in cui gli avvocati, il mediatore ed alla fine anche il giudice stesso, registrano passivamente la volontà delle parti. Né a sostenere l’ipotesi contraria può essere addotta la apparente contraddittorietà degli art. 5 ed 8 del D. Lgs. 28/2010 nella nuova formulazione.

Il principio di effettività

L’ordinanza sottolinea come la mediazione sia governata da un principio di effettività che prescinde la pura volontà delle parti: non è la volontà delle parti che la governa, ma la verifica da parte del mediatore dell’esistenza dei presupposti giuridici, la constatazione della sussistenza di condizioni oggettive che non ostacolino il corretto svolgimento della procedura.

Dunque, per converso, il verbale che attesta la chiusura del primo incontro di mediazione nei termini in cui una delle parti ha espresso la pura volontà di non procedere alla mediazione vera e propria, ha conseguito il risultato sperato di insinuare il dubbio e la curiosità nel Giudice che lo ha letto, persuadendolo definitivamente ad inviare nuovamente le parti in mediazione perchè possano realmente svolgere la mediazione.

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ordinanza del 6 Aprile 2018

Condanna del Giudice

Una delle parti fallisce: cosa accade alla mediazione demandata dal Giudice?

L’antefatto

Il titolare di un conto corrente bancario ed i fideiussori propongono una domande di ripetizioni di indebito.

L’istituto di credito, costituendosi, eccepisce il mancato esperimento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità alla richiesta avanzata da parte attrice.

L’udienza viene perciò rinviata con fissazione del termine a norma dell’art. 5 D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, per presentare l’istanza di mediazione.

Dopo pochi giorni l’attrice dichiara fallimento ma la domanda per la mediazione demandata non è stata depositata.

Alla successiva udienza i fideiussori ed il curatore fallimentare chiedono al Magistrato di fissare un nuovo termine per il deposito della domanda di mediazione. L’istituto di credito insite nella richiesta di dichiarazione di improcedibilità delle domande diparte attrice.

Il parere

Il Giudice, Dott.ssa Arianna Lo Vasco, evidenzia due punti fondamentali:

  • Natura del termine dei 15 giorni
  • Pubblicazione della sentenza fallimentare ed interruzione dei procedimenti giudiziari, ivi compresa la mediazione

In ordine al primo punto il Magistrato abbraccia la tesi della Corte di Appello di Milano (sentenza del 24.05.2017) secondo cui il termine di 15 giorni non può essere considerato di natura perentoria. Questa interpretazione cozzerebbe con la finalità stessa dell’istituto della mediazione, volta ad uno scopo deflattivo e di pacificazione sociale.

La sentenza

Di maggiore interesse, e soprattutto inedita, è la risoluzione della questione posta al punto 2.

La pubblicazione della sentenza di fallimento, sostiene il Magistrato trapanese con chiaro riferimento all’ art.43 l.f., determina l’interruzione dei procedimenti giudiziari. Tra questi si ricomprende anche la mediazione per il suo stretto legame con il processo: da una parte, per gli espliciti scopi deflattivi , e dall’altra perché suscettibile di incidere sullo svolgimento del processo stesso e sui suoi esiti.

Tribunale di Trapani sentenza del 6 Febbraio 2018

La mediazione? Talvolta è essa stessa da mediare!

Mediazione da mediare. L’apertura nei confronti dell’altro, è considerata cosa estranea nelle relazioni umane: con questa visione viene sacrificata l’importanza della reciprocità ed i vantaggi che da essa possono derivare. Questa attitudine è propria di qualunque tipo di relazione. A tal proposito, le istituzioni europee, e non solo, incentivano il bisogno di dialogo e partecipazione, mediante meccanismi di sensibilizzazione e promozione della mediazione da cui dovrebbe discendere una diffusa conoscenza della mediazione che ne favorirebbe uno sviluppo omogeneo.

La direzione imboccata dal Parlamento Europeo

In questa direzione, va da diversi anni il Parlamento Europeo che auspica l’elaborazione di programmi di azione per lo sviluppo della mediazione ed invita operatori del diritto, imprese e docenti universitari ad attivarsi in tal senso. È necessario in questa direzione la partecipazione di quanti sono coinvolti nella procedura di mediazione e parallelamente la sensibilizzazione dei cittadini che sono gli utenti finali del servizio affinché ne apprezzino l’utilità e le potenzialità.

Mediazione da mediare per un metodo dalla finalità di ampio respiro

Si tratta di considerare la mediazione quale metodo per realizzare una finalità di ampio respiro, quindi “mediazione da mediare” per incentivare il dialogo sulla mediazione, aprire nuovi canali di comunicazione al fine di individuare soluzioni condivise partendo dallo studio della prassi e degli interessi dei soggetti coinvolti e gli attori coinvolti in questo percorso sperimenteranno i benefici del dialogo e della ricerca di soluzioni condivise, grazie anche al riappropriarsi dei processi decisionali.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Sovraindebitamento e mediazione: tutti i vantaggi

L’accostamento della procedura di mediazione con la scelta di ricorrere ad una delle procedure disciplinate dalla legge n. 3/2012 porta quindi a molteplici vantaggi. Il ricorso alla mediazione consente, in primo luogo, di ottenere l’immediata formazione di un titolo esecutivo, anche con la rinuncia ad una parte del debito dovuto da parte della banca, soprattutto in presenza di patrimoni incapienti a garantire la restituzione di quanto dovuto.

Vantaggi principali: risparmiare tre gradi di giudizio

In secondo luogo l’esito positivo della mediazione permette di risparmiare tre gradi di giudizio ed una procedura di esecuzione forzata inidonea ad assicurare una sufficiente tutela al debitore ed ai creditori sui quali finisce per gravare anche il pregiudizio della dispersione dei beni e l’eccessiva durata dei processi. In terzo luogo il collegamento tra mediazione e procedure ex legge n. 3/2012 consente ai creditori di poter ottenere, seppure alla luce delle limitate possibilità patrimoniali del debitore, la miglior realizzazione del diritto di credito nel minor tempo possibile.

Tuttavia attualmente nella pratica la concreta possibilità di attuare simili soluzioni è resa particolarmente difficile dalle rigidità delle contrapposte prese di posizioni dei soggetti in conflitto. Da un lato si trovano spesso iniziative di mera resistenza processuale alle richieste di adempimento del credito, finalizzate a far guadagnare tempo, confidando sui tempi necessari alla definizione dei processi da parte di un sistema giudiziario ingolfato.

Dall’altro lato si riscontra, spesso, una gestione eccessivamente centralizzata del contenzioso da parte delle banche, oltre che forme di eccessiva burocratizzazione che portano a preferire la decisione giurisdizionale che statuisce sull’esistenza e sul modo di essere di un diritto, esonerando in tal modo da ogni responsabilità in ordine ad un eventuale accordo transattivo. Quindi è auspicabile un cambio di tendenza in tal senso e quindi un mutamento dello status quo appena descritto, poiché un sistema così concepito è fatalmente destinato a generare un involuzione: in mancanza della ristrutturazione del debito e dell’esdebitazione non si possono ripartire i consumi, che costituiscono un fattore propulsivo determinante della ripresa economica e conseguentemente, anche chi svolge attività di impresa bancaria risente di un impasse, dovendo muoversi nelle secche dei crediti in sofferenza, così come chi esercita attività di impresa in genere.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Cassazione: il dies a quo non cambia

Un recentissimo dictum della Corte di Cassazione (sentenza del 13 giugno 2017, leggila qui) respinge una forzata interpretazione dell’art. 176 del Codice di procedura civile che regolamenta il criterio di conoscenza delle ordinanze emesse dal magistrato. La questione davanti al Giudice di legittimità è la conseguenza della dichiarazione di improcedibilità, ad opera del Tribunale di Napoli, della domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione proposta nelle forme del giudizio di convalida di sfratto.

Distorta applicazione della norma

Il ricorrente, nel caso di specie, contestava una distorta applicazione della norma di cui sopra associate alla violazione degli artt. 136 e 156 c.p.c.. Quindi l’ordinanza che prevedeva il tentativo di mediazione sarebbe dovuta essere comunicata alle parti con biglietto di cancelleria, non avendo ragion d’essere la presunzione di conoscenza ex art. 176 c.p.c..

La Cassazione non ha condiviso tale doglianza

La Cassazione non ha condiviso tale doglianza, proprio partendo dal tenore letterale del secondo comma dell’art. 176, che espressamente prevede che le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi*; quelle pronunciate fuori dell’udienza sono comunicate* a cura del cancelliere* entro i tre giorni successivi. Quindi non si può estendere l’enunciato normativo che prevede la nullità delle ordinanze pronunciate fuori udienza, qualora queste ultime non siano comunicate dalla cancelleria nel termine previsto.

*Le definizioni dei termini rimandano al dizionario giuridico Brocardi.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Mediatore: una nuova professione? Le relazioni tra i professionisti

Relazioni tra professionisti. Negli articoli dei giorni scorsi abbiamo trattato l’argomento della nuova professione del mediatore analizzando la presenza dell’avvocato ed altre variabili. A ciò possiamo aggiungere che ugualmente, può darsi che in mancanza di competenza in merito sia lo stesso legale a scegliere di rivolgersi allo specialista in accompagnamento delle parti. Si apre così lo spazio per nuove e più flessibili configurazioni del rapporto tra queste due professioni. Cerchiamo di capirci di più.

Relazioni tra professionisti: le dinamiche di interazione reciproca

In questa prospettiva diventerà un terreno di particolare interesse, per la riflessione sulla professionalizzazione della mediazione, l’analisi delle dinamiche di interazione reciproca che verranno configurandosi tra i diversi attori dentro e fuori la procedura mediativa. In particolare si tratta di far risaltare, accanto ad aspetti più tipici della riflessione sulle professioni che già precedentemente abbiamo trattato (i metodi di remunerazione, il reclutamento e l’addestramento, i tipi di carriera, i conflitti di ruolo, le relazioni interpersonali sul lavoro, l’immagine pubblica delle professioni, e la distribuzione del potere e del prestigio nel loro ambito), l’eventuale sperimentazione di forme di associazione e cooperazione nelle quali mediatori e avvocati si possono ancorare reciprocamente attraverso relazioni di scambio e cooperazione; quale ruolo verranno a attori e ruoli di intermediazione e coordinamento, quale peso avrà il fattore istituzionalizzazione.

L’avvocato mediatore e l’avvocato accompagnatore

Ciò è davvero importante per rendersi conto dei processi di trasformazione in atto. Quindi dai concetti innovativi appena trattati sembrano, inoltre, emergere due nuove figure di avvocato – l’avvocato mediatore e l’avvocato accompagnatore – che andranno ad accentuare, almeno in via potenziale il carattere segmentato che va sempre più assumendo la professione forense e probabilmente questa potrebbe essere la via per ottenere una definitiva quanto certa “professionalizzazione” della figura del mediatore.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

L’affermarsi di un nuovo bisogno di mediazione: i cambiamenti normativi

Nuovo bisogno di mediazione. Ormai si parla di mediazione per ogni intervento di un terzo nella gestione delle relazioni sociali, sia che si tratti di attività tradizionali (come quelle di negoziatori, conciliatori, mediatori veri e propri) ma anche di funzioni nuove come quella di facilitatori, comunicatori, persone che svolgono un lavoro di raccordo o di facilitazione nell’accesso a delle risorse. Questo fenomeno crescente e plurale non può essere ridotto ad una semplice tecnica di risoluzione veloce ed economica dei conflitti ma si inscrive all’interno di una crisi generalizzata delle tradizionali strutture di regolazione e di socializzazione come la giustizia, la famiglia e la scuola. All’interno di una società individualizzata, come quella contemporanea, si assiste, tra le altre cose, al prodursi di cambiamenti normativi importanti che danno sempre più spazio e margine di manovra ai singoli che sentono di poter di agire indipendentemente dai legami collettivi.

Nuovo bisogno di mediazione e cambiamenti normativi in atto

Secondo autorevole dottrina, la libertà individuale di scegliere sarebbe l’espressione di questo individualismo positivo le cui parole chiave sono: scelta, autodeterminazione e contratto. In questa prospettiva si assiste ad un trasferimento di responsabilità verso l’individuo sollecitato a fare lui stesso ciò che ha meno bisogno di delegare alla società: aumenta lo spazio per l’autoregolazione. A ciò va aggiunto che il processo di individualizzazione, mentre da un lato contribuisce a promuovere il desiderio di uguaglianza, dall’altro non garantisce la sussistenza delle condizioni che ne rendono possibile il realizzarsi: “questo cambiamento esisterebbe più nella coscienza delle persone e sulla carta che nei comportamenti e nelle condizioni sociali”.

Esigenza regolativa individuale e mediazione

Questa maggiore sensibilità per le diseguaglianze e per le promesse non mantenute, starebbe, per altro, alla base della crescente diffusione del rancore nella nostra contemporaneità. Il disagio della civiltà non dipenderebbe più dal controllo sociale esercitato dalla civilizzazione, ma, al contrario, proprio da una competizione estrema che influenza in modo profondo la società. Ciò non significa che i privilegi dell’autonomia individuale conducano ad una libertà senza principi, ma al contrario più tutto è possibile, più ognuno è libero e legittimato ad accampare «le proprie buone ragioni» e più viene al contempo avvertita la necessità di controllarsi, nel duplice senso di porre un limite alle proprie pretese e tutelarsi rispetto alle pretese dell’altro. È senz’altro a questa esigenza regolativa affermatasi al livello individuale che, almeno in parte, risponderebbe l’affermarsi della mediazione come modalità alternativa di risoluzione dei conflitti.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Mediazione online: ecco quali potrebbero essere le criticità

La mediazione online, oltre a tanti vantaggi e caratteristiche positive, potrebbe a volte presentare delle criticità. Questo almeno stando alle esperienze di coloro che vi si sono affidati. Per ciò che concerne la mancata presenza personale delle parti, ad esempio, si può mettere in evidenza che essa, se nella mediazione tradizionale può creare del disagio, nell’interazione diretta può consentire una lettura del linguaggio del comportamento ed elimina i rischi di eccessiva formalizzazione causata proprio dall’assenza delle parti. Inoltre la possibilità di descrivere la propria versione direttamente alla controparte e di esprimere le proprie emozioni, può certamente esercitare una funzione “catartica” sui partecipanti alla mediazione.

Mediazione online e dinamiche relazionali differenti

La mediazione online del resto manca delle dinamiche caratterizzanti la mediazione tradizionale, perché si realizza a distanza e dinanzi allo schermo del pc. Se si trattasse solo di liti emerse nell’e-commerce, tali caratteristiche non creerebbero particolari problemi, ma ove si estendesse a dispute più legate ad aspetti emotivi, la separazione materiale delle parti si tradurrebbe nella perdita di una grande opportunità di definizione della controversia.

L’importanza dell’aspetto emotivo

La disgiunzione dei litiganti potrebbe poi costringere le parti a raccontare la propria versione in termini logici e razionali, senza dare una diretta percezione di come gli altri soggetti coinvolti nella controversia stiano reagendo a quanto si sta affermando. Inoltre, nella mediazione cibernetica, l’assenza di una presenza materiale potrebbe rendere difficile al mediatore il mantenimento dell’effettivo controllo della negoziazione delle parti. Alla luce di tali considerazioni, pare logico affermare che questa tipologia di mediazione sia più efficace nelle questioni bagatellari o comunque dove non emerge in maniera prevalente l’aspetto emotivo. Importante, infine, la formazione del mediatore anche in questo campo, con un professionista che dovrà essere in grado di gestire la situazione anche sul campo online.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A. avvocato Pietro Elia.

Spese di avvio in mediazione: non è possibile fissarle sotto i 40 euro

È possibile fissare le spese di avvio dei procedimenti di mediazione a 30 euro più Iva anziché a 40 euro, così come previsto dal DM 180/2010? La risposta è no. Il quesito, che è stato posto nei giorni scorsi da un organismo di mediazione, ha avuto dunque risposta nettamente negativa dalle istituzioni. La domanda era stata infatti posta al Ministero della Giustizia (Dipartimento Affari di Giustizia), e prendeva in causa la previsione contenuta nell’art. 16 comma primo, del su citato Decreto Ministeriale 180 del 2010, secondo cui l’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.

Spese di avvio: derogabilità verso il basso solo per le spese di mediazione

La risposta al quesito (datata 28 novembre scorso), ad un certo punto, spiega il perché della negazione e riporta testualmente tali parole: “Quando l’art. 16, comma 14, del DM 180/2010, consente la derogabilità verso il basso degli importi minimi delle indennità, sembra riferirsi unicamente alle spese di mediazione, non anche alle spese di avvio che, dunque, non solo non possono essere ridotte, ma neanche eliminate del tutto”.

La cifra di 40 euro costituisce l’importo minimo

Proprio per questo motivo, sempre tenendo conto di quanto stabilito dall’art. 16, comma 2 del DM 180/2010, viene confermato il fatto che per le spese di avvio ciascuna parte deve, per lo svolgimento del primo incontro, la cifra di 40 euro per le liti di valore fino a 250 mila euro. La cifra sale ad 80 euro per le liti che superano i 250 mila euro. Viene anche chiarito, infine, che tale importo è dovuto anche in caso di mancato accordo. Il ministero di Via Arenula chiarisce così, una volta per tutte, i dubbi sulle spese di avvio.

 

A cura dell’addetto stampa Concilia Lex S.p.A., dott.ssa Jenny Giordano.

Il comportamento delle parti: il suo ruolo in mediazione

Il comportamento delle parti. Qual è il suo ruolo all’interno di una mediazione? Dal testo dell’art. 8 d. lgs. n. 28/2010 si evince che il comportamento della parte nel corso del procedimento di mediazione è elemento centrale. La disciplina della condizione di procedibilità é completata dall’art. 5, comma 2 bis, il quale chiarisce che «la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo».

Comportamento delle parti e assenza di volontà conciliativa

Pertanto, per ritenersi il tentativo espletato sarà sufficiente anche un primo ed unico incontro dal quale emerga chiaramente l’assenza di volontà conciliativa. Bisognerà comunque capire se un primo incontro dovrà sempre tenersi ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità ovvero se quest’ultima possa dirsi soddisfatta, a prescindere dallo svolgimento del primo incontro, nelle ipotesi di mancata adesione della parte chiamata.

Tale valutazione non potrà certo ricadere sul mediatore, il quale al più potrà ricordare gli orientamenti giurisprudenziali in materia di primo incontro. Del resto ci sembra che le conseguenze negative dell’assenza della parte chiamata in mediazione siano state dal legislatore riversate nel successivo ed eventuale giudizio, mediante le disposizioni dell’art. 8 d. lgs. cit., che disegnano una delle più pregnanti forme di “interferenza” tra mediazione e successivo processo, prevedendo il fatidico argomento di prova ex art. 116 c.p.c. oltre all’eventuale sanzione di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Il comportamento delle parti: quale integra la mancata partecipazione

Quindi qual è il comportamento che integra la mancata partecipazione? Posto che sicuramente non partecipa la parte che non aderisce – rectius, che resta totalmente inerte – integra la mancata partecipazione anche il comportamento della parte che abbia aderito ma non si sia poi effettivamente presentata al primo incontro? Ovvero, ove fissati ulteriori incontri, la parte, per evitare le conseguenze sfavorevoli viste, sarà tenuta a presentarsi a tutti? E, infine, la partecipazione rimanda alla necessaria presenza della parte in senso sostanziale o è sufficiente la presenza del legale (soprattutto, anche se non esclusivamente, nelle ipotesi di mediazione obbligatoria)?

Un’interpretazione “garantista”, che tenga conto delle possibili ricadute nel corso del giudizio della previsione di cui al comma 5, dovrebbe portare a ritenere che l’atto di adesione iniziale della parte sia sufficiente a far sì che la successiva assenza della parte agli incontri non integri il comportamento di non partecipazione. In realtà, pare che la partecipazione, quantomeno nell’idea del legislatore, porti con sé un dovere di collaborazione che è possibile soddisfare solo essendo presenti agli incontri fissati dal mediatore o, quantomeno, al primo incontro che assume un significato cruciale.

A cura del responsabile scientifico Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.