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Revirement meneghino sul termine ex art. 5 co 2

Revirement meneghino. Dopo che circa un paio di mesi fa Corte d’Appello di Milano aveva statuito che l’improcedibilità, nel caso di specie, è derivata dalla circostanza che la parte onerata non si sia minimamente curata della facoltà di chiedere una proroga del termine per attivare la mediazione, prima della sua scadenza ai sensi dell’art. 154 c.p.c.., ora aggiusta il tiro e si rende più tranchant sui fatidici 15 giorni ex art. 5 D. Lgs 28/2010 2 co..

Revirement dopo la prima sentenza del Tribunale di Monza

Nel caso di specie, il giudice di primo grado di Monza respingeva l’opposizione dichiarandola improcedibile per mancato esperimento del tentativo di mediazione nel termine assegnato e confermava il decreto ingiuntivo. Nei motivi di gravame, l’appellante deduceva l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il termine di 15 giorni, indicato dal giudice per la presentazione della domanda di mediazione, fosse inutilmente spirato senza richiesta di proroga. Assumeva l’appellante che il termine di legge non fosse da ritenersi perentorio e che il successivo esperimento del tentativo di mediazione fosse idoneo a precludere qualsiasi censura di improcedibilità o inammissibilità dell’atto di citazione in opposizione.

La prima sezione della Corte d’Appello, ha ritenuto di non dover riconoscere una natura perentoria al termine dei 15 giorni assegnato dal giudice di primo grado, anche per una mancata ed espressa previsione in tal senso dell’art. 5 co 2: ergo la dizione “entro” non può considerarsi sufficiente per renderlo perentorio.

Quindi non ha senso il collegamento con l’art. 154 c.p.c., che non avrebbe fatto altro che procrastinare inutilmente i tempi del giudizio. Difatti il procedimento di mediazione costituisce una parentesi (giustappunto un’alternativa) del procedimento ordinario; e non può ritenersi come un’appendice di quest’ultimo, certamente sottoposto a più rigorose regole endoprocessuali.

Perentorio il termine di sospensione dei tre mesi di giudizio

Sarebbe invece perentorio il termine di sospensione di tre mesi del giudizio che il giudice non potrebbe superare per consentire l’espletamento del tentativo di mediazione, sia esso obbligatorio che demandato dal giudice ( v. art. 6 “ 1. il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi. 2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell’articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell’articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale”). Sempre secondo la legge, l’esperimento del tentativo di mediazione vale come condizione di procedibilità dell’azione, la quale a sua volta non è sottoposta ad alcun termine se non a quello ordinario previsto eventualmente dalla legge (v. prescrizione o decadenza processuale prevista in caso di opposizione a decreto ingiuntivo).

Pertanto il motivo di gravame è stato accolto in quanto lo spirare del termine di attivazione della mediazione non è da considerarsi processuale posto che il procedimento di mediazione non è assimilabile al procedimento ordinario e costituisce uno strumento di risoluzione delle liti alternativo al procedimento ordinario e giurisdizionale e quindi un termine non processuale non può comportare conseguenza processuali come l’improcedibilità della domanda.

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A cura del responsabile scientifico Concilia Lex S.p.A., avv. Pietro Elia