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Giustizia riparativa

La commissione di un reato apre un conflitto tra l’autore e la parte offesa, una lacerazione dei legami sociali che spesso chiede di considerare istanze non delegabili di riparazione e di responsabilizzazione, essenziali alla tutela del patto sociale. La sua peculiarità consiste nel contatto diretto o indiretto tra vittima e autore del reato, prendendo in considerazione gli aspetti sia comunicativi che  relazionali tra le parti.  La Giustizia Riparativa  rappresenta un percorso complesso che richiede un forte coinvolgimento della comunità locale. La riparazione chiama le persone a misurarsi con le difficoltà e le fatiche del vivere insieme. E’ un paradigma di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti ed il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo. Si tratta di un percorso che dà centralità alle persone, ai loro vissuti, alle loro relazioni. Una possibilità per chi è coinvolto in un reato o in un conflitto di partecipare attivamente nella risoluzione delle questioni che ne derivano. In origine la giustizia funzionava “occhio per occhio dente per dente”. Successivamente, per fermare la catena di violenza che si creava, la vendetta privata è stata sostituita dalla punizione del sovrano e poi dello Stato, che risponde ai reati in nome della collettività e quindi anche delle vittime. La logica è rimasta però quella di reagire a un male con altro male. È la “giustizia retributiva”, quella per cui si deve pagare il conto attraverso una pena. Con la giustizia riparativa si supera la logica della vendetta e allo stesso tempo se ne riconosce la radice profonda: il bisogno che l’autore comprenda la sofferenza inflitta alla vittima e l’aspettativa che quella sofferenza non si ripeta più. Tale desiderio, può essere realizzato attraverso uno strumento diverso: la parola. Un dialogo difficile, che deve essere accompagnato da mediatori. La giustizia riparativa funziona attraverso un  dialogo,”possibile”, perché vede nel reato, prima che la violazione di una norma, la rottura di una relazione e della fiducia interpersonale, che mira a riparare .  La giustizia riparativa si basa su dei principi essenziali sanciti in alcuni documenti dell’ONU e del Consiglio d’Europa. Il primo è la volontarietà. Nessuno può essere costretto a partecipare a un percorso di giustizia riparativa, né se è vittima né se è autore di reato. Tutti però hanno diritto ad essere informati circa l’esistenza e il funzionamento di questi percorsi, in modo da poter scegliere consapevolmente se aderirvi o meno. Il secondo è la partecipazione attiva delle persone coinvolte. Esse non sono destinatarie passive di un intervento o di un progetto, ma ne sono protagoniste e promotrici. Il ruolo dei mediatori  non è quello di indicare soluzioni né tantomeno di imporle, bensì di accompagnare le persone nel processo relazionale intrapreso. Il terzo principio è la dimensione relazionale del percorso. Il dialogo, l’incontro tra persone che hanno vissuto l’esperienza del reato da prospettive diverse è un elemento costitutivo. Altri principi della giustizia riparativa  sono la confidenzialità degli scambi, la gratuità del percorso, il non giudizio e il rispetto per tutte le persone coinvolte. Ma perché la vittima o il reo dovrebbero voler partecipare a un percorso del genere? L’esperienza di subire un reato fa sorgere nella vittima una serie di bisogni. Essere ascoltati, innanzitutto. Poter raccontare cosa è successo, dire come si sta, la propria paura, le proprie difficoltà a riprendere la quotidianità. C’è il bisogno di riconoscimento della propria sofferenza. E il bisogno di essere rassicurati che quanto accaduto non accadrà più. La giustizia riparativa si offre come spazio in cui questi bisogni possono trovare risposta. L’autore di reato è l’unico che può rispondere ad alcune domande ed è l’unico che può aiutare a superare certe paure. Per il ragazzo può essere importante narrare il vissuto che l’ha portato a compiere un determinato gesto, dal momento che dietro ad atti di violenza possono celarsi anche ingiustizie subite, che non hanno saputo trovare parole o ascolto. Può poi essere importante comprendere ciò che ha fatto mettendosi nei panni dell’altro, potersi scusare e poter riparare anche simbolicamente, mettendo in campo le proprie energie e le proprie capacità e così reintegrandosi nel tessuto sociale di cui può tornare a sentirsi parte integrante, e non più escluso. Se ci si sente parte di una comunità si è portati a rispettarne le regole. Se ci si sente esclusi, accade il contrario. Comprendere dall’esperienza concreta l’importanza e il significato delle regole del vivere comune è la migliore forma di prevenzione, la migliore assicurazione che ciò che è successo non succederà ancora. Se la “ Restorative Justice”  è in grado di ripristinare la fiducia della vittima,  far comprendere al reo il disvalore di quanto compiuto senza escluderlo dalla società, ma includendolo, creando prevenzione ed evitando la recidiva, si può dire essa adempie la propria funzione in modo efficace, svolgendo con metodo democratico: libertà, partecipazione attiva e dialogo, i compiti della giustizia.

Dott.ssa Mariella Romano

Mediazione penale e formazione: chi è il mediatore

Il tema della formazione alla mediazione penale, è stato oggetto in questi ultimi anni, di un acceso dibattito, mirante a definire quale debba essere la concreta preparazione del mediatore. Fino ad oggi sono pochi i Paesi in Europa che hanno un codice deontologico del mediatore. Lo statuto di tale figura professionale rimane ancora poco definito, anche se la Raccomandazione  R(99)19, relativa alla qualifica della figura del mediatore in ambito penale offre importanti spunti di riferimento.

Secondo tali indicazioni infatti:

  • “i mediatori dovrebbero essere reperiti in tutte le aree sociali e dovrebbero possedere generalmente una buona conoscenza delle culture locali e comunitarie”(art.22)
  • “i mediatori dovrebbero ricevere una formazione iniziale di base e effettuare un training nel servizio prima di intraprendere l’attività di mediazione” ( art. 24)
  • “i mediatori dovrebbero acquisire, attraverso la formazione, un alto livello di competenza che tenga presenti la capacità di risoluzione del conflitto, i requisiti specifici per lavorare con le vittime e gli autori di reato, nonché una conoscenza base del sistema penale” (art. 24)

E’ necessario sottolineare altresì che il riferimento alla normativa internazionale risulta indispensabile, mancando una precisa disciplina  nazionale in materia e un riconoscimento formale della figura del mediatore  esperto in programmi di giustizia ripartiva. Inoltre un  mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa, per esprimere un alto livello di competenza, deve conoscere il contesto in cui opera, deve saper trasmettere la cultura della giustizia riparativa, deve saper mediare, deve saper organizzare e accompagnare il percorso di giustizia riparativa, in ogni sua fase.

A tal fine, ogni percorso formativo deve prevedere una formazione sia teorica che pratica sulla giustizia riparativa e su tutti i suoi programmi ed una formazione sugli aspetti giuridico istituzionali, psico- pedagogici e sociali connessi alla giustizia riparativa.

La mediazione può essere paragonata ad una cassa di risonanza che accoglie per poi restituire, in cui i protagonisti sono unicamente le parti; per questo motivo il percorso di formazione alla mediazione non aggiunge ma porta ad una essenzialità costruttiva, non implementando bensì facendo emergere tutto quanto c’è già. La mediazione non vuole sanare il conflitto, ma solo prendersi “cura” dei suoi effetti distruttivi, avendo ben chiaro che non tutto è mediabile. Dunque il mediatore non ha potere, non dà consigli, non propone soluzioni, non interpreta,  non assume in quella veste né il ruolo di un terapeuta, né di un educatore tantomeno di un avvocato… sarà semplicemente una figura terza, neutrale ed equiprossima al servizio dei mediandi.   Pertanto credo che lo sforzo più importante sia quello di non utilizzare questi strumenti nuovi con una mentalità antica,  altrimenti vi è il pericolo di usare la mediazione e la riparazione  come delle pene,  finendo per tradire la ratio di una giustizia  che – come afferma  il Consiglio d’Europa – aspiri a diventare “più costruttiva e meno afflittiva.“

A cura di: Dott.ssa Mariella Romano