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Cassazione: il dies a quo non cambia

Un recentissimo dictum della Corte di Cassazione (sentenza del 13 giugno 2017, leggila qui) respinge una forzata interpretazione dell’art. 176 del Codice di procedura civile che regolamenta il criterio di conoscenza delle ordinanze emesse dal magistrato. La questione davanti al Giudice di legittimità è la conseguenza della dichiarazione di improcedibilità, ad opera del Tribunale di Napoli, della domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di locazione proposta nelle forme del giudizio di convalida di sfratto.

Distorta applicazione della norma

Il ricorrente, nel caso di specie, contestava una distorta applicazione della norma di cui sopra associate alla violazione degli artt. 136 e 156 c.p.c.. Quindi l’ordinanza che prevedeva il tentativo di mediazione sarebbe dovuta essere comunicata alle parti con biglietto di cancelleria, non avendo ragion d’essere la presunzione di conoscenza ex art. 176 c.p.c..

La Cassazione non ha condiviso tale doglianza

La Cassazione non ha condiviso tale doglianza, proprio partendo dal tenore letterale del secondo comma dell’art. 176, che espressamente prevede che le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi*; quelle pronunciate fuori dell’udienza sono comunicate* a cura del cancelliere* entro i tre giorni successivi. Quindi non si può estendere l’enunciato normativo che prevede la nullità delle ordinanze pronunciate fuori udienza, qualora queste ultime non siano comunicate dalla cancelleria nel termine previsto.

*Le definizioni dei termini rimandano al dizionario giuridico Brocardi.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Mediatore: una nuova professione? Le relazioni tra i professionisti

Relazioni tra professionisti. Negli articoli dei giorni scorsi abbiamo trattato l’argomento della nuova professione del mediatore analizzando la presenza dell’avvocato ed altre variabili. A ciò possiamo aggiungere che ugualmente, può darsi che in mancanza di competenza in merito sia lo stesso legale a scegliere di rivolgersi allo specialista in accompagnamento delle parti. Si apre così lo spazio per nuove e più flessibili configurazioni del rapporto tra queste due professioni. Cerchiamo di capirci di più.

Relazioni tra professionisti: le dinamiche di interazione reciproca

In questa prospettiva diventerà un terreno di particolare interesse, per la riflessione sulla professionalizzazione della mediazione, l’analisi delle dinamiche di interazione reciproca che verranno configurandosi tra i diversi attori dentro e fuori la procedura mediativa. In particolare si tratta di far risaltare, accanto ad aspetti più tipici della riflessione sulle professioni che già precedentemente abbiamo trattato (i metodi di remunerazione, il reclutamento e l’addestramento, i tipi di carriera, i conflitti di ruolo, le relazioni interpersonali sul lavoro, l’immagine pubblica delle professioni, e la distribuzione del potere e del prestigio nel loro ambito), l’eventuale sperimentazione di forme di associazione e cooperazione nelle quali mediatori e avvocati si possono ancorare reciprocamente attraverso relazioni di scambio e cooperazione; quale ruolo verranno a attori e ruoli di intermediazione e coordinamento, quale peso avrà il fattore istituzionalizzazione.

L’avvocato mediatore e l’avvocato accompagnatore

Ciò è davvero importante per rendersi conto dei processi di trasformazione in atto. Quindi dai concetti innovativi appena trattati sembrano, inoltre, emergere due nuove figure di avvocato – l’avvocato mediatore e l’avvocato accompagnatore – che andranno ad accentuare, almeno in via potenziale il carattere segmentato che va sempre più assumendo la professione forense e probabilmente questa potrebbe essere la via per ottenere una definitiva quanto certa “professionalizzazione” della figura del mediatore.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

L’affermarsi di un nuovo bisogno di mediazione: i cambiamenti normativi

Nuovo bisogno di mediazione. Ormai si parla di mediazione per ogni intervento di un terzo nella gestione delle relazioni sociali, sia che si tratti di attività tradizionali (come quelle di negoziatori, conciliatori, mediatori veri e propri) ma anche di funzioni nuove come quella di facilitatori, comunicatori, persone che svolgono un lavoro di raccordo o di facilitazione nell’accesso a delle risorse. Questo fenomeno crescente e plurale non può essere ridotto ad una semplice tecnica di risoluzione veloce ed economica dei conflitti ma si inscrive all’interno di una crisi generalizzata delle tradizionali strutture di regolazione e di socializzazione come la giustizia, la famiglia e la scuola. All’interno di una società individualizzata, come quella contemporanea, si assiste, tra le altre cose, al prodursi di cambiamenti normativi importanti che danno sempre più spazio e margine di manovra ai singoli che sentono di poter di agire indipendentemente dai legami collettivi.

Nuovo bisogno di mediazione e cambiamenti normativi in atto

Secondo autorevole dottrina, la libertà individuale di scegliere sarebbe l’espressione di questo individualismo positivo le cui parole chiave sono: scelta, autodeterminazione e contratto. In questa prospettiva si assiste ad un trasferimento di responsabilità verso l’individuo sollecitato a fare lui stesso ciò che ha meno bisogno di delegare alla società: aumenta lo spazio per l’autoregolazione. A ciò va aggiunto che il processo di individualizzazione, mentre da un lato contribuisce a promuovere il desiderio di uguaglianza, dall’altro non garantisce la sussistenza delle condizioni che ne rendono possibile il realizzarsi: “questo cambiamento esisterebbe più nella coscienza delle persone e sulla carta che nei comportamenti e nelle condizioni sociali”.

Esigenza regolativa individuale e mediazione

Questa maggiore sensibilità per le diseguaglianze e per le promesse non mantenute, starebbe, per altro, alla base della crescente diffusione del rancore nella nostra contemporaneità. Il disagio della civiltà non dipenderebbe più dal controllo sociale esercitato dalla civilizzazione, ma, al contrario, proprio da una competizione estrema che influenza in modo profondo la società. Ciò non significa che i privilegi dell’autonomia individuale conducano ad una libertà senza principi, ma al contrario più tutto è possibile, più ognuno è libero e legittimato ad accampare «le proprie buone ragioni» e più viene al contempo avvertita la necessità di controllarsi, nel duplice senso di porre un limite alle proprie pretese e tutelarsi rispetto alle pretese dell’altro. È senz’altro a questa esigenza regolativa affermatasi al livello individuale che, almeno in parte, risponderebbe l’affermarsi della mediazione come modalità alternativa di risoluzione dei conflitti.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Mediazione online: ecco quali potrebbero essere le criticità

La mediazione online, oltre a tanti vantaggi e caratteristiche positive, potrebbe a volte presentare delle criticità. Questo almeno stando alle esperienze di coloro che vi si sono affidati. Per ciò che concerne la mancata presenza personale delle parti, ad esempio, si può mettere in evidenza che essa, se nella mediazione tradizionale può creare del disagio, nell’interazione diretta può consentire una lettura del linguaggio del comportamento ed elimina i rischi di eccessiva formalizzazione causata proprio dall’assenza delle parti. Inoltre la possibilità di descrivere la propria versione direttamente alla controparte e di esprimere le proprie emozioni, può certamente esercitare una funzione “catartica” sui partecipanti alla mediazione.

Mediazione online e dinamiche relazionali differenti

La mediazione online del resto manca delle dinamiche caratterizzanti la mediazione tradizionale, perché si realizza a distanza e dinanzi allo schermo del pc. Se si trattasse solo di liti emerse nell’e-commerce, tali caratteristiche non creerebbero particolari problemi, ma ove si estendesse a dispute più legate ad aspetti emotivi, la separazione materiale delle parti si tradurrebbe nella perdita di una grande opportunità di definizione della controversia.

L’importanza dell’aspetto emotivo

La disgiunzione dei litiganti potrebbe poi costringere le parti a raccontare la propria versione in termini logici e razionali, senza dare una diretta percezione di come gli altri soggetti coinvolti nella controversia stiano reagendo a quanto si sta affermando. Inoltre, nella mediazione cibernetica, l’assenza di una presenza materiale potrebbe rendere difficile al mediatore il mantenimento dell’effettivo controllo della negoziazione delle parti. Alla luce di tali considerazioni, pare logico affermare che questa tipologia di mediazione sia più efficace nelle questioni bagatellari o comunque dove non emerge in maniera prevalente l’aspetto emotivo. Importante, infine, la formazione del mediatore anche in questo campo, con un professionista che dovrà essere in grado di gestire la situazione anche sul campo online.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A. avvocato Pietro Elia.

L’eventuale nullità di un procedimento di mediazione può essere fatta valere solo nel procedimento giudiziario

L’eventuale nullità di un procedimento di mediazione può essere fatta valere solo nel procedimento giudiziario. Il Tribunale di Padova, nella sentenza dello scorso 19 ottobre (leggila qui), è stato chiamato a decidere in merito ad un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo. Quest’ultimo era stato emesso per indennità di mediazione non corrisposte da una o più parti dopo lo svolgimento della procedura di mediazione. In tale contesto si esclude che le eccezioni avanzate dall’ opponente possano trovare spazio in altro procedimento giudiziario anche se relativo al procedimento di mediazione contestato e in specie quello apertosi per il pagamento delle indennità di mediazione.

Le eccezioni di nullità dovranno pertanto essere fatte valere solo nel procedimento principale, quello dal quale la procedura di mediazione ebbe origine. La motivazione della decisione del Tribunale di Padova è   basata sia sulle singole questioni di nullità sollevate dalla parte, nonché dal fatto che il verbale di chiusura del procedimento non fosse stato impugnato per falsità, e che dunque esso era da considerarsi prova dei fatti svoltosi.

Il tribunale di Padova si esprime anche sulla presenza/assistenza dell’avvocato

Ma la sentenza del Tribunale di Padova emessa lo scorso 19 ottobre appare rilevante anche per un’altra questione poco dibattuta ed oggetto dell’eccezione di nullità avanzata da una parte: la presenza e l’assistenza dell’avvocato nella procedura di mediazione. Questa, secondo il Tribunale di Padova deve essere letta attraverso il combinato disposto degli articoli 8 e 12 del d. lgs. n. 28/2010 e ss.mm.,[1]  oltre che  alla luce della sentenza emessa dalla Corte di Giustizia in data 14.6.2017 C 75[2] , secondo la quale nelle procedure ADR che riguardano i consumatori la presenza e l’assistenza dell’avvocato non possono essere prescritte come obbligatorie.

Il Tribunale sembra accogliere la decisione della Corte Europea e farne proprie le conclusioni criticamente, anche se a parere di questo commentatore la controversia sottoposta al giudice di Padova non pare affatto pertinente al rapporto professionista/consumatore o più in generale alla materia del consumo e dunque affatto pertinente al thema decidendum.

Commento a cura dell’avvocato Maria Vittoria Occorsio.

 

[1] Sia consentito il riferimento a : Maria Vittoria Occorsio , “La mediazione demandata dal Giudice“,  ed. Primiceri  giugno 2016, cap. 3 pagg. 37 e segg., secondo la quale  il d.lgs. 28/2010 prevede come necessaria solo la presenza della parte, proprio a mente di quanto prescritto nell’ articolo 12 dello stesso testo normativo per il quale possono sussistere ipotesi in cui le parti non siano assistite da un avvocato e l’ accordo firmato dovrà essere sottoposto alla omologazione del Presidente del Tribunale per acquisire esecutività.

[2] La questione era stata sollevata dal Tribunale di Verona in relazione ad un procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo in materia di contratti bancari .

Adr poco utilizzate: il Tribunale di Roma prende posizione

Adr poco utilizzate, soprattutto dalla Pubblica Amministrazione. Un’altra interessante decisione della XIII sezione del Tribunale di Roma ci induce ad una seria riflessione del rapporto che vi è tra Pubblica Amministrazione e mediazione. Nonostante gli impulsi e gli inviti ad usufruire dei benefici dell’istituto, si continua a registrare un’inspiegabile avversità anche davanti all’evidenza come lo è nella sentenza del Dr. Moriconi (datata 30 novembre scorso) del caso di cui ci andiamo ad occupare.

Adr poco utilizzate: il Giudice ne sottolinea le conseguenze negative

In una controversia che vede convenuti sia il comune di Roma che una sua società partecipata, il magistrato capitolino spiega, in maniera analitica, perché la società in questione avrebbe dovuto partecipare al tentativo di mediazione ordinato dal giudice. Il primo motivo insiste sul disattendere l’ordine ex art. 5 co 2, il quale integra colpa grave – se non dolo- se non è seriamente contestabile ed ampiamente motivato. Inoltre se fosse stata tentata la mediazione il tentativo di accordo probabilmente non sarebbe fallito anche alla luce delle prescrizioni contenute nell’ordinanza.

Tale comportamento nella sentenza viene stigmatizzato e sostenuto da un’opinione sempre più significativa che “solo il competente e sperimentato utilizzo su larga scala degli strumenti A.D.R. (che nella realtà si sostanziano nella mediazione obbligatoria e demandata e nella proposta del giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc), potrà avviare a soluzione l’universalmente noto endemico male della Giustizia civile italiana rappresentato dalla durata delle cause”.

Processi troppo lunghi anche per esiguo utilizzo della mediazione da parte della P.A.

Le Adr poco utilizzate conducono direttamente all’eccessiva durata dei processi. Quest’ultima oltre a penalizzare la parte più debole che resiste male alle lungaggini processuali “a cui spesso seguono altrettante defaticanti esecuzioni, offre del Paese un’immagine anche internazionale di arretratezza e di incapacità di affrontare le sfide dei tempi, rappresentandolo in questo settore strategico in gran parte rilegato in una sfera a se stante scollegata dalle tumultuose e rapide temperie della vita e della società attuale; con effetti assai negativi che si ripercuotono in gangli vitali quali lo sviluppo delle imprese e l’allogazione delle risorse da parte delle aziende straniere”.

Inoltre tale status quo potrebbe addirittura influire sulla qualità del contenuto delle sentenze, dato che scrivere sentenze di qualità richiede tempo e tanto tempo non c’è dato il gran numero di sentenze che i giudici italiani devono scrivere. Tutto questo per concludere che l’inottemperanza, ingiustificata, delle parti al provvedimento del giudice ex art. 5 comma II° decr. lgsl.28/10, che richiede l’effettiva partecipazione alla mediazione, costituisce sempre una grave inadempienza, dalla quale ben può discendere, secondo le circostanze del caso, l’applicazione della sanzione di cui al terzo comma dell’art.96 cpc. La partecipazione al procedimento conciliativo è un valore a sé stante, che prescindendo dal merito e quindi dalla logica torto/ragione, non può essere ignorata, senza conseguenze, sulla base del convincimento (quand’anche successivamente avvalorato dalla decisione del giudice) di non dover incorrere nella soccombenza.

Insomma…non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

 

Mediatore: una nuova professione? La presenza dell’avvocato

La presenza dell’avvocato in mediazione. Un interessante studio sociologico si è posto il quesito di quanto quella del mediatore sia una nuova professione emergente. Cominciamo con l’analizzare un’importante variabile di questo studio: la presenza dell’avvocato. Quest’ultimo entra nel processo di mediazione anche, e soprattutto, in virtù del fatto che viene introdotta l’assistenza legale obbligatoria delle parti in lite. Tale scelta, fortemente ispirata e voluta dall’avvocatura, si legittima con il fatto che, per quanto la procedura si collochi al di fuori del processo civile, si pone comunque nell’ambito della tutela dei diritti e degli interessi dei consociati dell’ordinamento giuridico.

La presenza dell’avvocato: forma di garanzia per le parti

La presenza dell’avvocato diventa dunque una forma di garanzia per le parti così come anche per il mediatore. Essa comporta, tuttavia, alcune importanti conseguenze. Per i puristi della mediazione è la sola presenza di un soggetto terzo e imparziale che di per sé consentirebbe la composizione tra due parti in conflitto. Quindi con la presenza degli avvocati, la relazione si frammenta e allo stesso tempo si moltiplica: tra le parti, fra queste e il mediatore, fra avvocati e parti, fra mediatore e avvocati, eventualmente fra mediatore e co-mediatore ed eventualmente fra questo e tutti gli altri.

Pertanto chi è il soggetto terzo all’interno di questa complicata dinamica? Tra chi si trova a dover mediare? Non si tratta semplicemente di una maggiore difficoltà a gestire le molteplici sequenze di interazione che vengono a determinarsi. Ognuno degli attori presenti è portatore di una sua specificità, di suoi interessi ma, anche, di un suo modo di intendere la mediazione.

Percezione in mediazione: le diverse reazioni

Da una ricerca condotta recentemente sulle percezioni in mediazione emerge come tutti i soggetti della relazione maturino, in riferimento alla loro specificità – di genere, professionale, di ruolo – percezioni profondamente diverse riguardo a ciò che sia giusto e possibile, nonché al diverso grado di consapevolezza di quanto effettivamente si sta verificando durante il ricorso alla mediazione. Mediatore e avvocato, per esempio, sono socializzati a svolgere un mestiere diverso e in assoluto contrasto: per il primo vige il principio di imparzialità, per il secondo l’interesse della parte che a lui si affida. É dunque difficile che si instauri a priori un rapporto di tipo collaborativo per la risoluzione della questione. Ciò è spesso indipendente dalla volontà o dalla buona fede reciproca, ma rinvia piuttosto al tipo di competenze che sono state acquisite e interiorizzate e al modo in cui il professionista si legittima nella relazione con il cliente.

Nel prossimo articolo parleremo invece di quali sono le competenze professionali richieste dalla professione di mediatore.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia

Conflitto e cultura: la punta dell’iceberg

La cultura è parte integrante di ogni conflitto dal momento che i conflitti riguardano le relazioni umane. Essa influenza il modo in cui noi intendiamo, elaboriamo, critichiamo, e cerchiamo di ridurre i conflitti. Che un conflitto esista è una questione culturale. Etichettare alcune delle nostre interazioni come conflitti ed analizzarle in piccole componenti è un tipico approccio occidentale che può farci trascurare altri aspetti della relazione.

La cultura è sempre un fattore di conflitto, sia che giochi un ruolo centrale sia che lo influenzi sottilmente o leggermente. In ogni conflitto che riguarda la nostra identità permane una componente culturale. I conflitti fra adolescenti e genitori, ad esempio, sono regolati dalla cultura generazionale, e i conflitti fra coniugi o partner sono influenzati dalla cultura di genere. Nelle organizzazioni, i conflitti spesso nascono da tensioni che si sviluppano a partire da differenti culture comportamentali fra collaboratori, che creano una comunicazione stentata o poco accurata e relazioni molto tese. La cultura permea il conflitto– talvolta con irruenza, talvolta in maniera sottile, ma è sempre un elemento presente e prima o poi le persone ci si devono scontrare.

La cultura è connessa al conflitto, anche se non ne è la causa. Quando le differenze vengono fuori in famiglia, nelle organizzazioni, nelle comunità, la cultura è sempre presente, formando le percezioni, gli atteggiamenti, i comportamenti, e i risultati. Quando i gruppi culturali a cui apparteniamo sono la maggioranza nella nostra comunità o nazione, ci rendiamo conto di meno dei messaggi che ci inviano. La cultura che appartiene al gruppo dominante spesso sembra “naturale o normale”. Solitamente notiamo solo gli effetti delle culture “diverse”, quando etichettiamo comportamenti che ci sembrano “esotici” o “strani”.

In sintesi, possiamo affermare che la cultura è come un iceberg – per la maggior parte sommerso – ed è importante tenerne presente nelle analisi e nelle azioni. Gli iceberg possono essere pericolosi, soprattutto se non ne conosciamo la grandezza e il luogo.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Governance e mediazione: quanto sono intrecciate tra loro

Governance e mediazione. Autorevoli studi hanno analizzato il senso della governance della mediazione, che significa cercare di capire come la definizione di governance si declina in questo contesto. Oggi con il termine governance si indicano precise e specifiche dinamiche istituzionali che contribuiscono a forgiare le regole giuridiche e le modalità della loro assunzione, ma in senso più generico per indicare il modo in cui di fatto funziona una certa istituzione e quindi l’insieme delle regole e dei soggetti che contribuiscono a governarli e quindi a regolarli.

Governance e mediazione: le differenze tra presenza e assenza di quest’ultima

Se la legge è il mezzo privilegiato della democrazia, la governance fa ricorso ad altri strumenti giuridici quali, ad esempio, il contratto. In questo senso, la governance opera una destrutturazione delle categorie giuridiche moderne proponendo un pacchetto di norme che più facilmente aderiscono agli interessi configgenti e quindi può aiutare ad “avvicinare” il momento regolativo agli effettivi destinatari, non senza il rispetto della normativa di riferimento.

Cosa comporta l’assenza della governance in mediazione

In definitiva, l’essenza della governance è un nuovo stile diverso dal modello orientato dal controllo gerarchico delle fonti e caratterizzata da forme di cooperazione tra soggetti pubblici e privati che esaltano la capacità di autoregolamentarsi. Quindi se la legge ed il diritto, hanno permesso di ristabilire l’ordine, può ritenersi che, oggi, in singoli settori di riferimento ove interessi e bisogni rivestono carattere sia indispensabile restituire ai singolo la possibilità di gestire autonomamente le relazioni.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex S.p.A., avvocato Pietro Elia.

Mediazione online: ecco tutti i vantaggi

Mediazione online o mediazione tradizionale? La regolazione della mediazione tradizionale si concentra sul bilanciamento di quattro fattori. Questi ultimi possono essere elencati come accessibilità, qualità, effettività e lealtà, che nella mediazione online sono considerati diversamente. Le critiche rivolte alla mediazione online temono che l’assenza della fisicità delle parti renda non efficace tale meccanismo.

Se tale criticità è in parte condivisibile è anche vero che un adeguato livello di qualità e di lealtà sono comuni ad entrambe le tipologie mediatorie. La mediazione online, come quella tradizionale, consente al mediatore di adattare il procedimento alle particolari esigenze delle parti, cui si aggiungono ulteriori vantaggi nella risoluzione delle liti, propri di internet e dovuti alla maggiore flessibilità e creatività delle soluzioni adottabili quanto alla speditezza delle decisioni da intraprendere.

In particolare i benefici della mediazione online includono il risparmio di costi, la convenienza e la prevenzione di difficili questioni processuali. La mediazione cibernetica, può presentarsi come l’unica opzione utilizzabile dalle persone che non sono in grado di spostarsi per lunghe distanze, o che sono coinvolti in controversie bagatellari di e – commerce. Una delle ragioni che potrebbe segnare il grande successo della mediazione online è la possibilità offerta alle parti di incontrarsi virtualmente senza spostarsi fisicamente e risparmiando tempo e denaro.

La mediazione web evita, inoltre, le tensioni che può ingenerare la necessità di definire la controversia in un momento puntuale, consentendo alle parti di accordarsi solo quando se ne sentano pronte, non avendo dei rigidi vicoli temporali. Quindi le parti possono negoziare quando e dove vogliono, il mediatore potrà effettuare le sessioni separate con una o tutte le parti, senza affrettare il flusso della mediazione ed il tempo inutilmente perso dai litiganti è altresì ridotto poiché il mediatore, a differenza della mediazione tradizionale, può dedicarsi a una parte senza sprecare il tempo dell’altra parte, che nella situazione ordinaria, sarebbe stato costretto probabilmente, ad aspettare nelle vicinanze in attesa della fase successiva.

A cura del responsabile scientifico di Concilia Lex SpA, avvocato Pietro Elia.