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Suprema Corte: Reato additare la moglie come “mantenuta”

Suprema Corte: Chiamare la ex moglie con l’appellativo di “mantenuta”, anche se effettivamente quest’ultima non si impegna a cercare un lavoro, può essere illecito civile oppure vero e proprio reato. Lo ha stabilito nei giorni scorsi la Corte di Cassazione (sez. V Penale, sentenza 26 maggio – 5 gennaio 2016, n. 522), decretando un risarcimento alla vittima che ha subìto l’ingiuria diretta. Può anche capitare, però, che il marito possa parlare della ex moglie in questi termini quando lei non è presente, ma in presenza d’altri (almeno due persone). In questo caso le cose si complicano: qui infatti scatta il vero e proprio reato di diffamazione, che prevede anche conseguenze penali e processuali.

Nel caso specifico l’epiteto offensivo era scritto nella causale di un vaglia

Nel caso in oggetto non si è trattato però né di un’ingiuria proferita direttamente alla ex moglie né di “chiacchiere” con altri. Il termine “mantenuta”è infatti venuto fuori dalla causale dei vaglia dell’assegno di mantenimento! Quale prova più lampante da poter mostrare a giudizio! Qualora si fosse trattato di semplici parole, invece, trovare le prove sarebbe risultato un po’ più complicato, dovendo chiedere la verità ad eventuali testimoni.

Per la Suprema Corte il risarcimento deve scattare anche in mancanza di prove effettive

In realtà la Suprema Corte ha deciso che, anche in mancanza di prove effettive, il risarcimento debba scattare comunque, quindi a prescindere dalla prova del danno. Conseguenze? Dopo la denuncia della donna, che avendo letto quell’epiteto sul vaglia si è sentita giustamente offesa, Giudice di Pace, Tribunale e Cassazione hanno decretato la colpevolezza dell’ex marito, stabilendo il pagamento di 5.000 euro di risarcimento danni e 1.000 euro di multa. Occorre dunque pensarci bene prima di appellare qualcuno con epiteti ingiuriosi.

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